Accovacciato dietro la roccia, Yeruldegger la guardava da tempo. Da quando ne aveva scorto la sagoma sulla cresta della collina tinta di blu dalle artemisie, oltre la valle tappezzata di astri argentati e di aquilegie rosate, fragili come la rugiada di un’alba trasparente. Una donna. A cavallo. Yeruldegger lo aveva capito dal suo modo di stare in sella. Meno avanti di un uomo. Meno eretta sulle staffe. Meno capace di controllare il cavallo con la forza delle braccia. Più in armonia, con i fianchi più larghi, stringendo tra le gambe il ventre del cavallo per fare corpo con lui. Una brava cavallerizza.
Dopo anni di lotta contro la criminalità, Yeruldegger decide di lasciare la polizia di Ulan Bator e ritirarsi nel deserto dei Gobi. Piantata la yurta nel deserto decide di concentrarsi su se stesso ed il ritorno alle tradizioni. Suo malgrado verrà coinvolto da due strani cavalieri in un’avventura ancora più sanguinosa delle solite. La Mongolia di Yeruldegger sembra essersi venduta alle multinazionali dei potenti. Dalla Mongolia agli Stati Uniti, dalla Francia all’Australia un viaggio per liberare un paese dal dominio della modernità corrotta.
Ultimo capitolo della trilogia di Yeruldegger, scritto da Manook. Come preannunciato nel blog tour, questo noir di Ian Manook si stacca veramente dalla letteratura di genere dell’epoca e diventa anacronistico nella scrittura e nella trama. Innanzitutto, finalmente un romanzo che dà spazio alle ambientazioni, regalandoci un viaggio in estremo oriente, un viaggio nel deserto dei Gobi, nella steppa e nelle yurte mongole. Ma non è solo un viaggio visivo, è anche un viaggio sociale. Una società che fatica ad accettare l’ammodernamento occidentale per paura di perdere la tradizione e che cerca un compromesso, difficile da trovare perché molte volte l’ammodernamento apre degli spiragli alla corruzione e ai manigoldi.
Un’assenza costante della suspense che viene sopperita dalla presenza di descrizioni di luoghi affascinanti e pieni di mistero per la maggior parte dei lettori. Una trama lineare e piena di personaggi che si formano attorno ad un Yeruldegger poco presente e che rimane in secondo piano come un baluardo della tradizione difficilmente intaccabile. E questo emerge dal romanzo di Manook, una figura protagonista ma che rimane nelle retrovie e riporta la calma dove lo sconvolgimento della modernità che cerca di accecare la tradizione.
Tanti personaggi, possono sembrare molti ma tutti necessari per infittire la trama e complicarla fino ad un finale che dipana la storia riconducendola ad un unico filo conduttore. Personaggi che si muovono tra tutti i continenti per convogliare nel deserto dei Gobi, dove Yeruldegger sta cercando di trovare pace e recuperare le forze dopo una vita come poliziotto. La scrittura di Ian Manook è piena, descrittiva ed ironica, una scrittura evocativa che ci porta in territori mongoli. La sinossi da quarta da copertina è anche il soggetto ampio ed internazionale del romanzo. La bravura di Manook si conferma con il terzo capitolo della trilogia di Yeruldegger. Lo scrittore, in un viaggio attraverso i più grandi continenti mondiali, mantiene alta l’attenzione sulla Mongolia. Pur spostando l’ambientazione non riesce, e non vuole, spostare il lettore. Un bellissimo romanzo noir con una voce che sicuramente ci regalerà altre avventure, forse senza Yeruldegger, ma difficilmente lontano dalla Mongolia.
La video recensione è qui.
Musica consigliata: La melodia del vento, canzone tradizionale mongola che racconta di cavalli, vento, laghi e foreste. Imprescindibile durante le descrizioni di Ian Manook
Traduzione: Maurizio Ferrara
Editore: Fazi Editore
Anno: 2018