Questa è, forse, una delle più complicate recensioni che mi sia mai capitato fare. Partendo già dal titolo, molto difficile da pronunciare e incomprensibile di primo acchito. Ma l’ostativo si è dissolto con le pagine del libro che sono scorse sotto i miei occhi ad una velocità inaudita, ed è stato lì che è scattato l’innamoramento. Devo anche ammettere che il blog Contorni di Noir, che ha intervistato l’autore, mi ha aiutato a fare chiarezza su molte cose. (Chi fosse interessato a leggerla può cliccare QUI).
Tutto il pedale era ormai dissotterrato. S’intravedeva che era coperto da una gomma bianca antisdrucciolo. Poi comparve la pedaliera di cromo scrostata e ben presto una parte della ruota dentata con un pezzo ammaccato del copricatena di ferro rosa da dove spuntava un brandello di catena. Yeruldelgger fece segno a tutti di smettere e si alzò per osservare da più vicino. Ancora una volta, inspirò a fondo alzando gli occhi al cielo, poi sbuffò lentamente dal naso concentrandosi di nuovo sulla scoperta. Non gli piaceva quello che vedeva. Non gli piaceva quello che avrebbe dovuto dedurne, e ancora meno quello che sarebbe saltato fuori. Era una bicicletta per bambini.
Un commissario mongolo si ritrova davanti a tre cadaveri cinesi, in una fabbrica, e per di più con macabri segnali di un rito sessuale. Ma l’intensa giornata del commissario Yeruldelgger non finisce così e la situazione peggiora quando si ritrova difronte a una scena ancora più crudele: i resti di una bambina seppellita con il suo triciclo. A intralciare la sua strada, a minacciare la sua stessa vita, potenti politici locali, magnati stranieri, poliziotti corrotti e delinquenti nazisti. Sullo sfondo una Mongolia suggestiva e misteriosa.
Ian Manook scrive un noir che contamina paesi che non sono mai stati contaminati dal genere, alcuni affermano che sia il primo noir ambientato in Mongolia e questo lo rende ancora più affascinante agli occhi dei lettori. In un momento di ricerca di originalità, l’ambientazione scelta da Manook conquista punti. La trama è intrigante e mescola la storia e il misticismo di un paese, molto lontano da noi, avvolgendolo di un allure inconsueta nel genere. Manook costella il romanzo di momenti crudi, d’indagine vera e di storia. La storia di un paese tra due grandi paesi che cerca la propria identità. Ed è Yeruldegger, non solo commissario dal passato molto travagliato, il simbolico mongolo che nel suo essere vive tutti i dolori di un paese che cerca affermazione.
Ian Manook, nom de plume di Patrick Manoukian, è un autore di svariati diari di viaggio e libri di avventura, che ha cercato di portare tutte le sue conoscenze precedenti in un nuovo genere letterario, il noir. In questa sua nuova avventura, la trilogia di Yeruldelgger, Ian Manook fa convergere le sue esperienze in un romanzo bilanciando la storia, i paesaggi e la suspense che non ti lascia solo un attimo. Riesce a costellare tutto di una vera sospensione ed un trasporto che ti fanno vivere il romanzo a 360°.
Un romanzo pluripremiato che, oltralpe, ha conquistato molti premi. E li merita tutti. La sua scrittura è la Mongolia, ruvida e cruda con un retrogusto mistico. Ma evidenzia anche la corruzione di personaggi importanti e poliziotti con caratteri fortemente incollati all’immagine che voleva dargli. Un libro forte e travolgente, un esordio da leggere in un fiato. Un pezzo di storia che sconvolgerà l’occidente.
Musica consigliata: un po’ d’obbligo si può dire, quella degli Sciamani buriati. Indicata come musica mongola dal ritmo travolgente come la trama di Manook.
Traduzione:Maurizio Ferrara
Edizione: Darkside di Fazi Editore