Romain Slocombe, autore de “Il caso Léon Sadorski”, è un artista eclettico, scrittore, realizzatore, illustratore francese. Autore di moltissimi romanzi tra cui questo romanzo edito da Fazi Editore. Il romanzo di Slocombe è il primo di una serie di romanzi dedicati all’ispettore Sadorski. Il suo primo romanzo della serie “L’affaire Léon Sadorski” (tradotto in Italia) è del 2016, l’ambientazione è molto cara a Slocombe che non è nuovo nel scegliere ambientazioni nella seconda guerra mondiale.
Prima di lasciarvi all’estratto del romanzo, vi ricordo il blogtour:
Ed ecco a voi le prime pagine del nuovo romanzo di Slocombe “Il caso Léon Sadorski”:
Il posto è lindo e pulito, ma molto esiguo. Attraverso la finestra di vetro smerigliato, munita di un piccolo vasistas, si distingue la neve che cade. Sadorski rimane a lungo con gli occhi fissi alla finestra. I piedi sono sempre gelati, batte i denti.
Istintivamente, le mani tastano il muro, il letto, la porta. L’ispettore continua a non capire. Per quale motivo è stato rinchiuso qui, nel cuore di quella capitale dei tedeschi dove ci si crede ancora in inverno? Ieri mattina, camminava per Parigi, sotto gli alberi in fiore e il cielo azzurro! Con il cappello spinto indietro, una sigaretta in bocca, guardava passare le biciclette, le carrozzelle, sbirciava le ragazze, la loro andatura flessuosa, i loro capelli pettinati, rialzati, di cui una parte ricadeva in belle ondulazioni sulle loro spalle. Poteva sedersi ai tavolini di un caffè per assaggiare un cognac. E con il peso rassicurante della calibro 7,65 in tasca. Sadorski rappresentava l’autorità. Per i francesi, la guerra era finita. Lui lavorava nella questura di quella città la cui bellezza armoniosa era venerata e invidiata dal mondo intero, compresi i crucchi. Poliziotto scelto, buon francese, serviva la Francia e il suo capo, il vincitore di Verdun. La patria agonizzava, vittima del triplice cancro bolscevico, giudeo e plutocratico; ma adesso, grazie al Maresciallo, entra in convalescenza. Pétain l’ha salvata dagli artigli della Terza Gueuse, dai giudei marxisti. Sadorski, come i colleghi, opera al suo livello per la guarigione della patria. Schiaffa dentro gli ebrei, un compito adatto al suo talento di fisionomista, che gli piace e lo fa apprezzare dai superiori. La promozione, la pensione erano finora garantiti. E ogni notte si godeva la fortuna di dormire stretto alle carni generose di una bella francese, calda, affettuosa… Era felice o quasi. Oggi è prigioniero. Solo nel suo bugigattolo gelido. Perché? Che ha fatto? Che gli rimproverano?
La cella ha un cesso e un piccolo sgabello. Sadorski si siede. Chinando la testa fino alla sponda del letto, scoppia in pianto. Piange a lungo, con le spalle scosse dai singhiozzi. Ogni quarto d’ora rintoccano le campane di una chiesa, non lontano dalla prigione. Con la testa sul copriletto ruvido di tela di Vichy a quadretti blu e bianchi, Sadorski si addormenta pensando alla moglie. Poi la sogna, in mezzo ad altri elementi più confusi: percepisce le urla dei funzionari tedeschi, i «Nein!Nein!» che si mescolano ai pugni sordi dati nella faccia livida, nella pancia vuota dello straniero picchiato dalla guardia. Ha la schiena e i piedi gelati. Le grida diventano più forti, strappano Sadorski al sonno. Una nuova guardia ha appena aperto la porta della cella e ricopre d’insulti il suo occupante. Sadorski si alza, ha freddo, le gambe e le braccia sono intorpidite.
Risollevandosi, comincia a misurare la cella collocando un piede davanti all’altro. Arriva al risultato di due metri e quaranta per un metro e cinquanta. Poi continua a fare su e giù per riscaldarsi, soprattutto i piedi gelati, doloranti. L’occhio di una guardia s’incolla dietro lo spioncino, rimane per alcuni istanti poi scompare. Il rumore dei passi ne avrà attirato l’attenzione. Sadorski tenta di tirarsi su il morale. Perché preoccuparsi troppo, dopotutto? L’ispettore tedesco, lasciando lui e Louisille, non ha forse promesso di ritrovarli domani? È tra poco. Verranno interrogati, accadranno parecchie cose… Sadorski darà prova di buona volontà. E nello stesso tempo gareggerà in astuzia con loro. La sua esperienza dei nazisti gli ha insegnato che in fondo sono abbastanza stupidi. Metodici, organizzati, perseveranti, malevoli ed efficienti, certo – soprattutto di fronte ad avversari la cui combattività è stata smussata dal cancro giudaico –, ma stupidi. Anche uno come lui, mezzo istruito, con una semplice licenza elementare e gli studi alla scuola di polizia dopo la vittoria, si sente capace di prenderli in giro. E poi Sadorski ha letto qualche libro senza che ne fosse costretto, studia la storia della polizia, si considera una specie d’intellettuale in confronto all’ambiente in cui esercita le sue mansioni. Del resto il suo superiore immediato, l’ispettore principale Cury-Nodon, lo ha complimentato un giorno a proposito dei suoi resoconti «scritti magnificamente, ricchi di particolari e di osservazioni, proprio nello spirito delle Informazioni generali»… Mentre cammina nello spazio angusto della cella, Sadorski fa funzionare le meningi.
Prossima tappa domani 12 novembre con la recensione in anteprima di Feel The Book.