IL RITORNO DI DE LUCA E DELLA SUA OSTINAZIONE
Mi sono avvicinata alla lettura di “Peccato mortale” con lo stesso stato d’animo con cui ci si appresta a incontrare un vecchio amico e il commissario De Luca non mi ha delusa.
Appena ho aperto la prima pagina, la voce narrante mi ha catapultata al suo fianco nel bel mezzo degli eventi. Con lui sono inciampata nel buio di una scala, schivando per un pelo il colpo di una pallottola e siamo finiti su una massa gelatinosa, che sul momento abbiamo scambiato per un barattolo rotto di melassa, visto che credevamo di essere in un deposito di alimentari. Un po’ storditi ci siamo guardati attorno e abbiamo capito che eravamo entrati nell’edificio sbagliato, così ci siamo spostati sul retro, dove l’intera squadra di polizia era impegnata ad irrompere in un sito di prodotti destinati alla borsa nera. Lì un collega ci ha fatto notare che gli abiti di De Luca erano sporchi di sangue, ma il colpo di pistola non c’entrava nulla. Lui stava benissimo e non era ferito. Siamo quindi tornati in cima alla scala e vi abbiamo trovato un cadavere senza testa, il cui sangue vischioso avevamo erroneamente scambiato per melassa…
Da qui parte la nuova indagine di De Luca, molto densa e coinvolgente perché il commissario sa tenere il lettore ben stretto a sé, con quel suo modo testardo di perseguire l’obiettivo anche quando lo porta a veder messo in discussione il proprio ruolo, ad allontanarsi dagli affetti e addirittura a rischiare la vita. D’altronde De Luca è fatto così. Ama il proprio mestiere e sente dentro l’urgenza di venire a capo dei casi a lui affidati. È un poliziotto che coglie le storture del proprio tempo, ma pur di portare a termine un’indagine è disposto a farsele scivolare addosso e a rimandare i dubbi che lo inquietano.
In questo nuovo caso l’ostinazione del commissario appare però quasi un modo per combattere l’incertezza del presente, il tentativo di mantenere un equilibrio all’interno di un mondo ormai allo sbando. Siamo infatti nel luglio del 1943 e l’incedere delle forze alleate crea ovunque fermento e confusione. Anche la vita di De Luca ne viene travolta, ma lui sembra avere un’unica preoccupazione: dare un nome al cadavere senza testa che è capitato sulla sua strada. Per il commissario il suo caso ha la precedenza assoluta e man mano che procede coi sospetti, sembra isolarsi sempre di più in una dimensione parallela, tanto è preso dall’esigenza febbrile di vincere la propria partita con i colpevoli. La quotidianità lo sfiora soltanto. A volte lo ferisce, lo umilia, ma poi vola via, lasciandogli solo il bisogno di confermarsi come il migliore investigatore della questura bolognese che tutti conoscono.
Per questo, quando il sistema di cui fa parte tenta di soffocarlo e di impedirgli di indagare, ecco che lui si adatta alla nuova situazione con la resilienza di un fiume, trasformandosi in un cane sciolto, pronto a tutto per assicurare i responsabili alla giustizia. A De Luca non importa se nel regime fascista, giunto ormai alle battute finali, non si sappia più di quale giustizia si stia parlando o chi ne siano i veri rappresentanti. Così come non gli importa che i cadaveri su cui indaga siano in fondo soltanto due corpi in più, da aggiungere alle decine di morti che la città vede cadere sotto i pesanti bombardamenti. Le vittime della guerra rappresentano infatti l’esito tragico di un processo storico a cui De Luca è costretto a sottostare con impotenza, mentre i due assassinati nascondono un crimine verso cui sente la curiosità e il dovere di indagare. Altrettanto inevitabile, seppur sconcertante, gli appare il fatto che degli attivisti di sinistra, sempre più arditi nella confusione politica del tempo, vengano uccisi a suon di pugni dalla polizia solo per cavar loro qualche informazione utile alle indagini. E lo stesso sconcerto il commissario lo manda giù con un groppo in gola, anche quando scopre che alcuni suoi conoscenti ebrei sono scritti nelle liste stilate dalla polizia per i gerarchi nazisti, con cui giocoforza si troverà a collaborare.
Nulla, davvero nulla può farlo desistere dall’occuparsi del suo delitto, che per lui nasconde colpe e prevaricazioni che non possono finire nel dimenticatoio, solo perché inserite in un contesto ancora più tragico. No, niente può distrarlo, nemmeno l’amore. Un amore bello, solare, emancipato, che lo intenerisce e merita partecipazione, ma non abbastanza da fargli mettere da parte il tarlo che gli rode dentro.
Ringrazio Carlo Lucarelli per questo bel romanzo e rimango con la voglia di incontrare nuovamente il mio amico De Luca, per sapere dove lo porterà più avanti la vita.
Editore: Einaudi
Anno: 2018