Nella mia fine è il mio principio è un giallo della Christie del ’67 da cui nel ’72 il regista Sidney Gilliat trarrà il lungometraggio Champagne per due dopo il funerale, con Hayley Mills nel ruolo della giovane ereditiera Fenella Ellie Guteman (Thomsen nel film) e Hywel Bennett in quello di Mike Rogers. La frase è il motto ricamato da Maria Stuarda durante la prigionia, il titolo inglese invece è tratto da William Blake e notte senza fine è quel che sussurra il protagonista, ormai quasi completamente pazzo, nel finale.
Nella mia fine è il mio principio è un giallo che presenta diversi aspetti interessanti e atipici. Intanto è privo degli investigatori fissi di madame Agatha (Poirot, la Marple). Poi è scritto in prima persona. A percorrere a ritroso la storia del suo matrimonio con Ellie – e poi della loro vita in comune, fino al tragico epilogo – è Michael Rogers, per gli amici Mike, bel giovane senza un soldo (nella migliore tradizione christiana del vilain o cattivo marito che dir si voglia) che la povera ragazza ricca incontra all’apparenza per caso, in un boschetto d’aceri, e di cui s’innamora perdutamente, sposandolo in gran segreto a dispetto di tutto il proprio vessatorio clan familiare.
Il tutto con la complicità dell’amica Greta Andersen, teutonica dama di compagnia e braccio destro della giovane ereditiera in questo suo riappropriarsi della libertà: una giunonica Britt Ekland, che rispetto al biondo nordico e alla raffinata eleganza del personaggio romanzesco nel film sfoggia un curioso casco rosso cipolla e una serie di completi al ginocchio irrimediabilmente anni Settanta – come d’altro canto tutti gli attori, con menzione speciale al maglioncino di ciniglia color sabbia prediletto dal protagonista.
E decisamente, quasi struggentemente datata appare adesso del resto la villa stessa, descritta nel libro come un prodigio di rigore razionalista e fusione nel contesto naturale alla Lloyd Wright e trasformata nel film in un immenso giocattolone con tanto di telecomando antennuto che controlla in pratica ogni dettaglio, dalle porte al mobile bar; con le scenografiche vetrate che consentono la vista all’esterno ma non all’interno (interessante quanto forse involontaria metafora, magari, della nascosta natura del bel Mike, all’apparenza chiara, diretta e solare ma in realtà da tempo preda del lato oscuro); e con l’imprevedibile piscinona dalle acque curiosamente tinte di giallo nascosta appena sotto il pavimento a incastro che si apre a comando rivelando, appunto, lo stagno fatto in casa nascosto sotto – dove, nella drammatica scena finale, galleggerà una strega a faccia in giù…
Una volta sposati, dunque, la Guteman e Rogers si trasferiscono in quest’avveniristica villa costruita per loro con le ultime forze dal geniale architetto amico di lui, Rudolf Santonix (Per Oscarsson), gravemente malato, a Campo degli Zingari, vasta tenuta nei pressi di Kingston Bishop, un paesino dell’Inghilterra meridionale dove qualche tempo prima Mike, all’epoca sfaccendato autista a noleggio, aveva visto per la prima volta la casa e la proprietà intorno, innamorandosene.
Tenuta che Ellie acquista per un tozzo di pane perché sul terreno pesa un’antica maledizione, come l’inquietante Esther Lee (che nel film diventa Miss Townsend ed è interpretata da Patience Collier), la strega del villaggio, non manca di far sapere alla ragazza, con dovizia di particolari, appena la Guteman arriva sul posto: “Stammi a sentire, bella mia. Chi la compra non avrà pace, né ora né mai. Questa terra è maledetta. La maledizione fu lanciata molti anni fa, ma pesa ancora su Campo degli Zingari. Sta’ alla larga! Campo degli Zingari porta solo dolore e morte. Torna a casa, attraversa il mare e non voltarti indietro…”
Incuranti della profezia, i due vanno appunto a vivere in paese, facendo conoscenza con la gente del posto e ricevendo, insieme alle comprensibili rimostranze della famiglia di Ellie, le congratulazioni di Santonix e della stessa Greta, orgogliosa del buon successo ottenuto e installata in pianta stabile in casa assieme alla giovane coppia.
Complice una distorsione alla caviglia di Ellie e una certa soggezione psicologica della ragazza nei confronti dell’audace e bellissima ex dama di compagnia, la Andersen diventa infatti fin quasi da subito una presenza fissa nel ménage dei Rogers, con fin troppo aperto disappunto di Mike, al quale del resto lo stesso zio della Guteman, l’amministratore Andrew Lippincott (un enigmatico George Sanders) dopo le nozze aveva consigliato di tenere la donna a distanza quanto più possibile.
La situazione appare ulteriormente complicata dall’incomprensibile atteggiamento della vecchia Esther, che si para davanti a Ellie quasi ogni volta che questa esce a cavalcare, proferendo vaghe minacce e terrorizzando sia lei che il cavallo; dall’invadenza di Greta, avvezza a trattare la sua ex protetta come una sorta di sorellina minore un po’ sciocca, con comprensibile e fin troppo esibita irritazione del novello sposo; e infine dalla fredda accoglienza riservata al matrimonio dalla madre di Mike (Madge Ryan), con la quale il giovane ha sempre avuto rapporti difficili e che sembra sapere di lui più cose di quanto forse sarebbe desiderabile…
Una mattina, mentre la moglie esce per la consueta passeggiata nel bosco, Mike si reca in paese per partecipare a un’asta d’oggetti antichi dove intende acquistarle un regalo. Intenzionata a raggiungerlo per l’ora di pranzo, Ellie non arriverà mai: il suo cadavere, infatti, verrà ritrovato qualche ora dopo in una radura tra gli alberi, dove sembra che il cavallo l’abbia lasciata morta dopo averla disarcionata, chissà, forse spaventato da qualcosa o qualcuno…
In realtà, la morte della ragazza (che in vita soffriva di un’acuta allergia al pelo di gatti e cavalli e per questo prendeva ogni giorno una pillola d’antistaminico…) è stata freddamente pianificata da Mike e Greta, amanti diabolici da molti anni. I due hanno condotto a esecuzione un piano definito nei dettagli fin dai tempi in cui Greta era ancora la dama di compagnia della giovanissima ereditiera, e si apprestano ora a goderne i frutti.
Dopo la morte della moglie, tuttavia, Mike, tormentato dalle apparizioni del fantasma di Ellie, dal rimpianto inconfessato per una moglie di cui senz’accorgersene aveva finito coll’innamorarsi e dall’improvvisa scoperta che lo zio della Guteman, Lippincott, era a conoscenza del fatto che lui e Greta si conoscevano già e da sempre li sospettava entrambi, in un empito d’odio uccide l’amante, strangolandola e perdendo poi il senno.
Il libro si chiude col protagonista, ormai gravemente borderline, che, rinchiuso in un ospedale psichiatrico, su consiglio dei medici si sforza di riandare al passato, mettendo per iscritto le sue memorie fin dai tempi in cui, ancora ragazzo, aveva ucciso un compagno di scuola per rubargli l’orologio (che in seguito la madre aveva scoperto nel nascondiglio improvvisato da Mike in camera sua…).
Nel film, invece, Rogers racconta la sua storia all’anziano maggiore Philpott (Aubrey Richards), amico e vicino di casa intervenuto sul posto dopo l’assassinio di Greta, rifiutando però risolutamente di riconoscere l’esistenza della vecchia Townsend, che è scomparsa anch’essa suscitando il sospetto d’esser stata lei pure uccisa da Mike; e probabilmente è così, ma lui non se lo ricorda, ha rimosso sia lei che il suo omicidio, in un inquietante processo di selezione degli eventi.
Rispetto al libro – un libro distonico, inquietante come gli improvvisi vuoti di memoria che assalgono il giovane Rogers mentre scrive il suo racconto nella cella del carcere – il film di Gillian presenta molte varianti di maggiore e minor peso, pur nella sostanziale fedeltà al testo originale che relega le innovazioni apportate quasi esclusivamente all’ambito, appunto, del décor esteriore.
Tra le più importanti: Esther Lee, la zingara dai capelli scuri scompigliati dal vento e dall’aspetto trasandato che nel libro legge la mano a Ellie e poi si diverte a terrorizzarla, diventa Miss Townsend, ultima superstite del vasto clan che ha abitato per secoli la cadente dimora gotica a Campo degli Zingari prima che la maledizione lo sterminasse in ogni suo componente, lasciando in vita appunto solo lei.
Che infatti, stando alle voci, non ha sangue Townsend nelle vene, benché le piaccia farlo credere, ed è in realtà figlia del guardacaccia. Nei panni dell’anziana signorina, la Collier sfoggia una coppia di gatti siamesi, dannunzianamente portati a spasso al guinzaglio per la brughiera, un lungo mantello che sembra aver conosciuto tempi migliori e un cappello con la piuma ancorato a una massa disordinata di riccioli grigi. Un travestimento un po’ ingenuo da nobildonna decaduta che sembra avvalorare le dicerie paesane sull’ascendenza non certo aristocratica della donna e appare comunque lontano dal personaggio del libro.
Nel ruolo di Greta, a dispetto dell’outfit ovviamente datato e dei capelli a torta, la giovane Ekland mette invece a segno un’ottima interpretazione, accampandosi senza sforzo, col suo temperamento solitario e la volontà incoercibile, come la sola vera strega in un contesto saturo di vistose fattucchiere e fantastiche maledizioni: col suo irresistibile ascendente sul protagonista, la fiducia fanciullesca freddamente carpita all’ingenua Ellie per i propri fini delittuosi, la sociopatica determinazione nell’attuazione del piano, l’improvviso e quasi buffonesco ricorso alle lacrime, l’oscuro potere della bellezza e quell’aspetto fiorente e tuttavia sempre lievemente inquietante e come in procinto di disfarsi o mutarsi in altro, chissà, magari in qualcosa di ben più sinistro.
Divertenti poi la cena in compagnia di tutta la famiglia dopo le nozze e le facce che fa Lois Maxwell nei panni della matrigna Cora all’annuncio del matrimonio della figliastra, nonché i suoi tentativi di sbirciare attraverso gli imperscrutabili vetri fumé della villa mentre da dentro, invisibili, Mike e Santonix la sbeffeggiano forse un po’ grossolanamente sotto gli occhi divertiti di Ellie.
Nel film scompare infine il personaggio di Claudia Hardcastle, la ragazza con cui la giovane Guteman stringe amicizia ed esce a cavallo per il paese – la cui morte per avvelenamento nel libro si rivelerà determinante nel mettere sulla buona strada gli investigatori che indagano sull’apparente morte naturale di Ellie – e spariscono anche diversi personaggi minori, abbastanza ininfluenti ai fini dell’intreccio complessivo.
…And the winner is: il libro è un giallo atipico nella produzione dell’autrice – che tra l’altro sviluppa più compiutamente un racconto breve avente come protagonista la Marple dal titolo Le maledizioni della strega – e ha un forte potenziale perturbante dovuto soprattutto all’abilità con cui viene gestita la narrazione in prima persona. Il film, pur datato, ha il merito di mettere in scena in modo abbastanza fedele l’intreccio originale e può contare su qualche buona interpretazione e su un’atmosfera generale d’una certa efficacia, ma appare nel complesso meno convincente e più ingenuo rispetto al romanzo. Vince il libro.