AMORE, MORTE E SUPERSTIZIONE. MA ALLA FINE ANCHE A VENEZIA SONO I SOLDI A DETTAR LEGGE.
di BARBARA MONTEVERDI
Impossibile non amare le atmosfere torbide di una Venezia autunnale del 1753 e l’aria di mistero che l’avvolge. Per la verità, in questa quarta avventura che vede coinvolto Marco Leon – uomo dai molti segreti e dalle mille abilità al servizio dell’Inquisitore di Stato – Paolo Lanzotti introduce la sua storia portandoci sulla riviera del Brenta dove, all’interno di un gabinetto alchemico, viene trovato il corpo orrendamente sfigurato della prima vittima.
Ma la gita fuori porta dura lo spazio del prologo, perché la vicenda si riallaccia alle umide calli della Serenissima che sembra proprio lo scenario ideale per costruire un’avvincente giallo storico e anche il laboratorio della villa di Dolo, teatro della morte del giovane nobiluomo Enrico Albrizi, risente dell’oscura malia veneziana. Ma il gioco dei rimandi continuerà per tutto il romanzo, rendendo vivace lo sviluppo della vicenda.
Per i fedelissimi di Lanzotti sarebbe inutile presentare la figura di Marco Leon, ma per i pochi che si sono persi i romanzi precedenti, mi pare doveroso fare un rapido ritratto di questo personaggio intrigantissimo e lo farò con le parole dell’autore che lo osserva attraverso gli occhi di una servetta tremebonda:
Spinse una ciocca di capelli sotto la cuffia e scrutò Leon con apprensione. Un fisico asciutto, di statura media. Portamento eretto, capelli neri legati sulla nuca con un nastrino. Fronte alta. Sguardo penetrante. Non portava la parrucca e indossava un anonimo abito borghese color cenere. Dunque non era un patrizio. Non era qualcuno che lei dovesse temere in modo particolare. Tuttavia aveva un’aria decisa e questo la spaventava. Il suo arrivo avrebbe portato altri lutti. Lo sentiva.”
E lo sentiamo anche noi, non perché Marco sia un serial killer ma, al contrario, perché è un uomo da non mollare mai la presa e se annusa odor di omicidio, non si dà pace fino a quando non scopre causa e colpevole. Questo, ovviamente, chiama guai ulteriori come il miele per le mosche.
Il romanzo è decisamente avvincente e pieno di suspense, ma la caratteristica più significativa, secondo me, è la sottolineatura dei caratteri dei protagonisti, che fa da cornice alla storia: il cupo e lacerato Marco Leon che osserva il mondo con sospetto e dolore è compensato dalla presenza di Marion, giovane inglese volitiva e decisa a lottare per coronare il suo sogno d’amore. Concretezza e romanticismo si alternano costantemente rendendo la narrazione ricca di sfumature e punti di vista differenti, così da tenere sempre sveglio l’interesse del lettore che si vede trasportato a fasi alterne dall’atmosfera del giallo storico a quella del romanzo d’amore.
Ma niente scivolate sentimentali, per carità. Anzi, i momenti in cui la passione fa capolino sono quelli più emozionanti per l’urgenza di trovare soluzioni a una storia intricata e piena di ostacoli, oltre che complicata dall’indagine rischiosa che l’ostinato Marco sta seguendo.
Leggendo questo libro si ha la sensazione di osservare un dipinto che improvvisamente si animi e se è vero che tra le pagine appare come un lampo il Canaletto in amabile conversazione col console inglese protettore di Marion, è altrettanto vero che l’artista più vicino a questo romanzo è sicuramente il Guardi, con le sue marine scure, ruvide e presaghe di tempeste.
A completare l’opera, i passaggi costanti dall’alto al basso, dal mondo aristocratico a quello della servitù e del popolino, rendono vivaci le scene rappresentate (pare di assistere a una pièce teatrale, tanto sono precisi personaggi e descrizioni degli ambienti) e la lettura non ha mai un istante di cedimento: si resta agganciati dall’inizio alla fine.
C’è qualcos’altro da dire? No, c’è sicuramente da prendere in mano il volume e mettersi a leggere per godere di qualche bel momento di sospetto, timore, emozione.
TRAMA
Venezia, 1753. In una villa lungo la Riviera del Brenta muore il giovane nobilhomo Enrico Albrizi. Sembrerebbe trattarsi di suicidio, ma alcune circostanze inquietanti, come la posizione del cadavere, il volto ustionato e la presenza di simboli esoterici sulla scena del delitto fanno pensare che il giovane sia stato coinvolto in una cerimonia satanica. Alvise Geminiani, capo dell’Inquisizione, convoca Marco Leon per esaminare il caso. A Venezia intanto, Marco sta indagando su una serie di strani disegni erotici, e la chiamata di Geminiani lo costringe a lasciare il caso nelle mani dei suoi Angeli Neri. Giunto a villa Zulian, Leon si rende conto che molto probabilmente Enrico Albrizi è stato ucciso. Del resto un po’ tutti, in quella casa, avevano motivi di rancore nei suoi confronti. Quando avviene un secondo omicidio, però, Marco sospetta che la pista da seguire vada ben oltre le mura della villa. E mentre, a Venezia, gli Angeli Neri continuano a indagare sui disegni erotici, Marco inizia a pensare che le due vicende possano essere collegate. La cerchia dei sospetti, a questo punto, si allarga enormemente. Tuttavia, se la ragione gli impedisce di dare credito alla pista satanica, come spiegare le strane circostanze legate al ritrovamento dei cadaveri? Per trovare l’assassino, a Marco non resta che scoprire il movente… Dalla nebbia dei canali di Venezia alle ville patrizie sulla riviera del Brenta, tra esperimenti di alchimia e pericolosi complotti, Paolo Lanzotti compone un nuovo, splendido affresco che ci riporta, nella Repubblica Serenissima all’epoca della sua inesorabile ma affascinante decadenza.
L'alchimista della laguna
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