L’ORRORE DELLA GUERRA ARTIGLIA IL DOPOGUERRA
Harald Gilbers, l’autore di questo corposo romanzo, è un regista teatrale e il suo occhio scenico ci permette di entrare immediatamente nel racconto come se stessimo camminando tra le rovine di una Berlino sfigurata, di fianco all’ex commissario Oppenheimer.
Siamo piombati in un thriller storico che ci mostra impietoso la Germania del 1946, attonita, desolata, distrutta nell’anima e nel corpo. E fredda, freddissima nell’inverno più aspro del secolo. Oppenheimer è un uomo profondo e triste, come la sua città, ma cerca di superare l’abisso del suo animo ferito lavorando ad un caso capitatogli tra capo e collo con la tenacia di un segugio e la sensibilità dello psicologo.
Ci sono dei cadaveri tatuati di uomini compromessi coi nazisti appena sconfitti, ma non scomparsi; russi e americani sono interessati a scoprire chi e cosa c’è dietro e l’ex commissario, senza titolo ufficiale, si trova nella scomoda posizione di doversi destreggiare tra le loro reciproche diffidenze. Ce la farà? Ce lo auguriamo perché l’uomo è simpatico, il racconto è avvincente e, allo stesso tempo, affettuoso anche se la cadenza teutonica di Gilbers a volte appesantisce un po’ la lettura con descrizioni particolareggiate di cambio d’uso degli uffici o i nomi degli abitanti ricollocati negli stabili. Poi, però, il tono del racconto riprende a scorrere con ritmo cadenzato e piacevole.
Superata la metà del romanzo, il quadro dell’inchiesta si fa sempre più chiaro ed appassionante: i molti personaggi da nomi ostici diventano familiari e prendono consistenza e caratteristiche ben definite. C’è pathos dietro al caparbio tentativo di Oppenheimer di risolvere il caso ed evitare ulteriori assassinii e noi siamo sempre lì, dietro alle sue spalle, cercando di capire se la guerra appena passata lascerà ancora il suo marchio di morti lungo le strade di Berlino. E intanto nevica, nevica….
Traduzione: Angela Ricci
Editore: Emons
Anno: 2019