RECENSIONE
TRAMA
Nel 1991 Cosa Nostra nell’isolata e impenetrabile campagna di Enna pianifica quello che sarà ricordato da tutti come il periodo delle stragi siciliane. Obiettivi principali delle cosce mafiose sono Salvo Lima, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Loro dovevano morire e dovevano essere uccisi affinché lo stravolgimento e il cambiamento che sarebbero seguiti alla loro morte potesse permettere che nulla cambiasse nello status quo del Paese. In realtà, questi omicidi, ognuno dei quali perpetrato e organizzato in maniera differente sollevò un moto di indignazione, ribellione e protesta della società civile a cui non si era mai assistito in Italia. Le indagini iniziano subito e sono più che serrate. Un uomo in particolare, l’agente dei Servizi segreti Francesco Mauri come un temibile e intuitivo segugio fiuta una pista e non la lascia più. Chi c’è davvero dietro alle stragi siciliane del 1992, chi vuole che la scia di sangue non si fermi, il famoso golpe bianco di Cosa Nostra è riuscito in parte o affatto? Ma la domanda che da trent’anni chi ha indagato e ancora è alla ricerca della verità è: che fine ha fatto l’agenda rossa di Paolo Borsellino, trafugata subito dopo l’esplosione violenta che ha ucciso lui e buona parte degli uomini della sua scorta? In che mani si trova e perché era così importante farla sparire?
PERSONAGGI
“Purtroppo ragioni di lavoro mi hanno costretto ad arrivare in ritardo e forse mi costringeranno ad allontanarmi prima che questa riunione finisca. Sono venuto soprattutto per ascoltare perché ritengo che mai come in questo momento sia necessario che io ricordi a me stesso e ricordi a voi che sono un magistrato…”
Il protagonista fisico de La Furia degli Uomini è Francesco Mauri, di lui il lettore legge imprese, indagini, stati d’animo. Ma c’è un protagonista morale, presentissimo in ogni pagina, alitante nella mente e nel cuore di chi legge ed è senza ombra di dubbio Paolo Borsellino. “Il Magistrato” per definizione, più citato dello stesso Falcone, più impresso nell’immaginario collettivo per quella citofonata alla madre sotto casa prima di esplodere in mille pezzi, per quella frase ripetuta sui “morti che camminano” riferita a lui e a Giovanni Falcone, per la sua lucidissima consapevolezza che la sua esistenza aveva i giorni contati. Un eroe purissimo. Un servitore dello Stato che di questa definizione ne ha fatto la sua seconda pelle. Qui tra le tante storie e vicende che l’autore intreccia e dipana lui più di tutti aleggia e spinge il lettore a riflettere, a incazzarsi, a emozionarsi, talmente puro e meraviglioso da trasformarsi quasi in una figura mitologica se non fosse per la crudeltà e la tragicità della sua morte.
AMBIENTAZIONE
Che tra il 1991 e i 1992 l’Italia fosse immaginata come un unico scenario di guerra tra il Bene e il Male, i golpisti della Mafia e la gente comune che provava a resistere è acclarato. Pertanto, quella che deve essere considerata la vera ambientazione del romanzo di Gavazzeni è più deep, più nascosta, più emotiva se si vuole. Le vere location del libro sono quelle dove si muovono gli agenti dei servizi segreti, gli affiliati dei boss mafiosi, i faccendieri senza scrupoli, gli scalatori sociali pronti a vendere l’anima a Satana pur di emergere e accumulare soldi e peggio ancora sono quei luoghi alla luce del sole eppure bui dove le trame di Potere decidono di esistenze e di collettività. Qualcuna di queste ambientazioni è fisica, qualcun’altra sentimentale, altre le creerà lo stesso lettore mettendo insieme frammenti di puzzle disseminati ad arte dall’autore.
CONSIDERAZIONI
A trent’anni dal periodo più buio della Seconda Repubblica in libreria troverete saggi, biografie, interviste che parlano dell’argomento. Alcuni di questi lavori editoriali sono dei veri e propri omaggi alle figure protagoniste di quel tempo, altri saranno puramente operazioni commerciali per cavalcare l’onda emotiva di questo triste anniversario, La Furia degli Uomini è solo un romanzo. È fiction. È intrattenimento letterario e non sarebbe giusto presentarlo in alcun altro modo. Ma la ricerca autoriale su quanto è accaduto all’agenda rossa di Borsellino, la pazienza e l’onestà di Gavazzeni nel ricostruire quantomeno uno scenario credibile e fedele di quel tempo, il suo confrontarsi con protagonisti o studiosi dell’epoca ha fatto sì che Salvatore Borsellino leggendo la bozza definitiva del testo decidesse di scriverne la prefazione. E questa cosa una importanza dovrà pur averla. Per me ne ha tanta, tutto le altre considerazioni le lascio ai lettori.
INTERVISTA
Ezio proprio come ha sempre fatto Ellroy nei suoi più celebri lavori anche tu sei partito da un fatto reale con personaggi esistiti e intorno ci ha costruito un romanzo strutturato e originalissimo. Parlaci di questa idea, da dove nasce la storia e perché parlare proprio delle stragi siciliane?
Qualche anno fa, avevo incontrato Salvatore Borsellino e il movimento delle Agende Rosse, da lui fondato, durante uno dei loro incontri sul territorio e le sue parole mi avevano colpito tantissimo.
Era evidente, ai miei occhi, che nelle tragiche vicende delle stragi di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino del 1992 non tutto era emerso dai processi e dalle indagini ed era chiaro che ci fosse molto altro ancora da approfondire e chiarire.
Ho deciso che se volevo costruire e tessere delle nuove connessioni tra le vicende che hanno attraversato il 1992, tentando di dare una mia spiegazione ai fatti avvenuti trent’anni fa, dovevo utilizzare una tecnica diversa dal romanzo classico. Ho deciso così di mantenere lo stile di un thriller, perché alla fine, di questo si tratta. E poi mi ero convinto che il thriller mi permetteva di far muovere i personaggi su uno scacchiere più vasto e mi regalava maggiore libertà.
Ho così utilizzato personaggi veri facendoli interagire con personaggi “inventati”. Con questo, intendo personaggi anche liberamente ispirati a persone reali, che hanno svolto un ruolo in quel momento storico.
Altro problema che mi si poneva davanti e che dovevo risolvere, pena risultare ridicolo, era il linguaggio. Ero, e sono convinto, che un milanese che si accinge a parlare di Palermo degli anni 90 faccia sorridere, se non peggio. Non potevo permettermi di scimmiottare Camilleri, o altri scrittori isolani, perciò ho deciso di utilizzare il linguaggio che i mafiosi utilizzavano nei processi. Quella sorta di metalinguaggio di chi traduce il dialetto nella sua testa per interfacciarsi con le istituzioni. Ecco, avevo trovato la soluzione al mio secondo problema.
Le stragi siciliane del 1992 rimangono un’ombra indelebile nella storia di questo Paese e volevo analizzarle traendone delle storie diverse e collaterali a quelle che sono state delineate nei processi. La mia tesi che le stragi del 1992 altro non fossero che l’inizio di un tentativo di golpe nel nostro Paese.
Tutti i personaggi del tuo lavoro letterario sono potenti e tratteggiati con forza, ma se tu dovessi scegliere chi è quello che ti piace di più e al quale sei più affezionato e quale è quello che invece ti piace di meno e che non vorresti incontrare mai nella vita?
Il personaggio che ho amato scrivere per questo libro è sicuramente Francesco Mauri, l’agente del SISDE che segue un carico di esplosivo dalla ex Jugoslavia fino in Sicilia. Una parte di quell’esplosivo sarà utilizzata per gli attentati di Capaci e via D’Amelio. L’altro personaggio che ho amato è Giuseppe Graviano. Mafioso di “spessore”, uomo assolutamente negativo (tutt’ora al 41bis) ma con una propria visione del mondo e un proprio carisma. Dal suo punto di vista affascinante.
Il personaggio che non vorrei mai incontrare è Vincenzo Cannizzaro. Liberamente ispirato a Vito Ciancimino, è un uomo abituato alla corruzione e al potere dei soldi. È un mafioso che si è posto come cerniera tra il mondo politico e quello del malaffare e in quella terra di nessuno ci sguazza. Ma, anche in questo caso, renderlo subdolo e viscido è stato un piacere.
Gli ultimi che non vorrei incontrare sono gli uomini delle istituzioni che sono disposti a trattare con la mafia di Riina e Provenzano senza nemmeno quasi curarsi del proprio ruolo istituzionale. Un’offesa a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino che invece, da uomini delle istituzioni, hanno pagato un caro prezzo per la loro ricerca della verità e per essersi schierati contro il mondo criminale e affaristico.
Le ambientazioni del tuo libro praticamente coprono buona parte della nostra penisola, questo in qualche modo può essere considerato anche una metafora di una corruzione e un potere occulto che tocca a macchia d’olio tutto il nostro Paese?
Nelle vicende criminali del 1992 è impossibile, secondo me, non prendere in considerazione tutto il Paese. Gli attentati di Capaci e via D’Amelio, non possono essere considerati solo degli episodi di mafia, perciò circoscritti a un ambito malavitoso. La mia tesi è che nel 1991, dopo l’omicidio di Antonino Scopelliti, si sia messo in moto un tentativo di golpe bianco che comprendeva la mafia come braccio armato. Il Muro di Berlino era caduto, l’Italia non era più così strategica nel Mediterraneo e un certo mondo imprenditoriale, massonico, vicino all’esercito, Servizi segreti e istituzioni, ha così deciso di fermare la deriva di sinistra nel nostro paese e di attribuirsi un ruolo “regolatorio” degli avvenimenti politici. Il fine? Realizzare appieno il Piano di rinascita democratica di Licio Gelli. Cosa che poi è avvenuta davvero con i vari governi che si sono succeduti dal 1992 in poi. La mafia aveva le proprie ragioni per colpire.
La sentenza del maxiprocesso era stata devastante in termini di ergastoli inflitti. Il lavoro impostato da Falcone e Borsellino aveva dato i suoi frutti e la mafia, dal 30 gennaio del 1992 (giorno della sentenza della corte di Cassazione), era stata definita non più, come semplice criminalità da strada, ma una vera organizzazione criminale con una composizione gerarchica piramidale.
Totò Riina rischiava di perdere la faccia con i suoi e doveva in qualche modo reagire, perciò poteva trasformarsi nel braccio armato utile al livello occulto descritto sopra.
In pratica, la mia tesi è che nel 1992 e negli attentati anche del 1993 (Georgofili, Basilica di San Giovanni Laterano a Roma e in via Palestro a Milano), si sia tentata un’operazione analoga alla Strategia della Tensione di qualche decennio prima, da piazza Fontana in poi. L’obiettivo sempre lo stesso: incutere timore nella popolazione per far sì che la richiesta di ordine e protezione aumenti sempre più favorendo una reazione antidemocratica.