
ESSERI UMANI SENZA SPERANZA. ESSERI UMANI CON DIGNITA’
di BARBARA MONTEVERDI
“Non mi piacque questo libro quando lo lessi vent’anni fa.”
Ah, cominciamo bene se Norman Mailer, amico fraterno dell’autore e autore a sua volta di opere come “Il nudo e il morto”, esordisce con una prefazione di questo tenore. Mai dimenticare, però, che i romanzieri sono spesso abili nei colpi di scena e, infatti, alla fine Mailer ci spiega che ha scoperto dopo, molto dopo, che il suo disagio nei confronti de La città senza cielo era dovuto alla visionarietà profetica di Malaquais: il suo sguardo aveva colto in anticipo quello che sarebbe stato lo sviluppo delle metropoli, centrando perfettamente l’alienazione del cittadino schiacciato e rifiutato da un ambiente che forse non ha scelto, ma senz’altro deve subire.
Insomma, il libro era uscito troppo in anticipo sui tempi e così la storia kafkiana del povero Juvelin, piazzista di cosmetici e lozioni di bellezza, non era stata apprezzata come avrebbe meritato né da Mailer né, tantomeno, dai lettori. Peccato, perché è un signor romanzo e oggi abbiamo il dovere di rendergli giustizia, anche se – va detto – non si tratta di una lettura facile. Tutt’altro. C’è un uomo che non può più tornare a casa perché scopre di non avere una casa, il suo appartamento risulta abitato da anni da una coppia che non lo conosce; nel suo palazzo nessuno pare sapere chi lui sia, né tantomeno ha mai visto la moglie, peraltro scomparsa nel nulla pure lei, e tutto va avanti così, come se una grande mano munita di una grande gomma stesse cancellando il suo mondo e le sue parole. Perché nel romanzo è messa in evidenza anche l’incomunicabilità col prossimo, il non riuscire a farsi capire né comprendere ciò che viene detto dagli altri.
Non è solo una città senza cielo, quella di Malaquais, è un mondo privo di umanità.
Laggiù (…) una voce maschile si disse spiacente di informarmi di non potermi mettere in comunicazione con la signora Catherine Juvelin, perché era stata trasferita a un altro servizio. Trasferita quando? Era spiacente di non potermi dare quell’informazione. Quale servizio? Le avevano fatto lasciare il dipartimento degli archivi? Si trattava di un cambiamento temporaneo o di un trasferimento definitivo? Tutte le mie domande non ottenevano altro che spiaceri. “Sono suo marito” dicevo. Era spiacente. “Devo parlarle” dicevo “è successo un grave incidente nella sua famiglia.” Era spiacente.
Questo romanzo non è una lettura confortante, crea ansia mettendo il dito nella piaga delle nostre vite freneticamente irrisolte, ma è una buona e utile medicina per premunirsi ed evitare di ritrovarsi senza bussola in un’esistenza che, rischiamo di scoprire troppo tardi, non ci appartiene. Considerato, negli anni ’50, uno scritto distopico, attualmente La città senza cielo non può essere considerato altro che la descrizione puntuale e scarnificata di una società ormai sviluppatasi proprio nella direzione indicata a suo tempo dall’autore.
E ciò, per me, ne fa un racconto con sfumature horror, perché è come risvegliarsi da un incubo e rendersi conto che questo continua anche nella vita di tutti i giorni. C’è un antidoto? Penso, spero, di sì: la cultura e l’esercizio di un proprio pensiero autonomo, per esempio.
Faticoso, ma rinvigorente.
TRAMA
Portoni che si moltiplicano a perdita d’occhio lungo i corridoi labirintici dei palazzoni, il ritmo serrato imposto dall’Istituto nazionale per la bellezza e l’estetica: un palazzone a settimana, venticinque minuti per ogni cliente, centoventicinque secondi per passare da un portone all’altro. Quando Pierre Javelin, piazzista di cosmetici e lozioni di bellezza, anziché firmare col suo nome, scarabocchia segni indecifrabili sui documenti per ottenere un aumento di paga, si rende conto che quella semplice sbadataggine – ma si può davvero sbagliare la propria firma senza volerlo? – è invece l’espressione di un sentimento di ribellione segretamente covato, quasi ignoto persino a lui stesso, contro gli inutili obblighi di un’esistenza anonima. Rientrato a casa alla sera, scopre che la chiave del suo portone non gira nella toppa. Gli apre una coppia di sconosciuti, che sostengono di vivere lì da anni. Sua moglie è scomparsa assieme alla casa. Cosa è successo? È forse impazzito? No, la realtà è davvero quella, e l’errore non è nient’altro che lui, piccola rotella impazzita dell’ingranaggio inarrestabile e immodificabile che è la Città: la Città dei casermoni di cemento tanto alti da non lasciar vedere il cielo, la Città che teme le ribellioni dell’anima e inghiotte gli individui privandoli di coscienza e identità. E comincia così per Pierre Javelin una discesa all’inferno fatta di incontri bizzarri, burocrazia assurda, archivi irraggiungibili, strambi istituti dove ci si fa sconsigliare dalle scelte, uffici amministrativi dove si sta in fila come barattoli su un nastro di scorrimento; un viaggio irrazionale e distopico (il romanzo, del 1953, è stato più volte paragonato a 1984 di Orwell e a Il processo di Kafka) dove ogni passo in avanti per riallacciare i fili della propria vita è respinto dalla forza oscura della Città che tenta con ogni mezzo di ricacciare la testa dei suoi cittadini nell’inchiostro nero dell’impersonalità. Con la storica prefazione di Norman Mailer.
Traduzione: Elisabetta Garieri
La città senza cielo
ESSERI UMANI SENZA SPERANZA. ESSERI UMANI CON DIGNITA’ di BARBARA MONTEVERDI “Non mi piacque questo libro quando lo lessi vent’anni fa.” Ah, cominciamo bene se Norman Mailer, amico fraterno ...