ORRORE A BROKEN HARBOUR
La cosa che colpisce immediatamente in questo noir è il tono del racconto: da duri, da machos. Il ruvido John Wayne è servito. La faccenda strana è che abbiamo tra le mani un libro scritto da una donna e questo intriga parecchio perché (parlo da femmina) potrebbe sembrare forzato, una “posa”, invece risulta naturale come un grande fiume dal corso implacabile.
Io credo molto nello sviluppo edilizio. Se volete incolpare di questa recessione gli immobiliaristi e i banchieri al loro servizio fate pure, ma il fatto è che se non fosse stato per loro, l’ultima non l’avremmo mai superata. Io preferisco vedere un palazzo di appartamenti pieno di gente che va al lavoro ogni mattina per mandare avanti il Paese, e la sera torna a casa nel posticino che si è guadagnata, piuttosto che un campo che non serve a nessuno se non a un paio di vacche. I posti sono come le persone, e le persone sono come gli squali: se si fermano muoiono. Ma tutti noi abbiamo un luogo che ci piace credere che non cambierà mai. Io conoscevo Broken Harbour come le mie tasche, quando ero un ragazzino magro con un taglio di capelli fatto in casa e un paio di jeans rattoppati.
Siamo in Irlanda, ma l’altra faccia dell’America – quella più sporca – non sembra molto distante e la tosta Tana French non ci risparmia nulla. Nello squallore di un villaggio modello mai decollato, a due passi da un oceano cupo e poco invitante, tra strade sconnesse che non portano a nulla e villette semi disabitate, il detective Kennedy affronta un orrendo caso di omicidio plurimo.
Sopra le dune, dietro le case, gli uccelli volano stridendo e non bastano le parole di Shakespeare a scaldarci il cuore “Paura non avere, l’isola di sussurri è piena: di suoni e di dolci canti che non fan danno e dilettano.”
Invece qui di danni ne sono stati fatti, eccome. E in qualche modo anche le famiglie che abitano questa sorta di villaggio fantasma, hanno qualcosa di danneggiato, sembrano naufraghi senza speranza. Molti di loro hanno perso il lavoro, vorrebbero andarsene da lì, ma sanno che le abitazioni scadenti, già vecchie prima ancora di essere terminate, e la crisi economica non glielo consentiranno e svolazzano come falene attorno al sogno di un futuro migliore che non verrà.
Ma anche in questa desolazione, ci sono momenti che fanno respirare il lettore: Mick Kennedy ha una sorella “alterata” che ogni tanto gli si intrufola in casa provocando disastri, ma lui (per amore e necessità di equilibrio) sistema caparbio la sua vita.
Poi con dello scotch e un paio di forbici mi sedetti sul pavimento del soggiorno e mi misi a riattaccare le pagine dei libri, ritagliando lo scotch in modo perfetto intorno alla carta, finché i libri rovinati furono tutti riaggiustati e iniziai a rimetterli sugli scaffali in ordine alfabetico.
La fine è un po’ lunga e alcuni suggerimenti vengono dati al lettore troppo presto lasciando intuire la conclusione della vicenda, ma lo strazio di anime sconvolte è reso benissimo e chiudiamo il libro con l’immagine indelebile di un mare opaco e schiumante come le vite raccontate da Tana French con dura, determinata pietà.
Editore: Einaudi
Anno: 2020