UN NOIR ITALIANO DAL SAPORE DOSTOEVSKIANO
Immediatamente, già dalle prime battute, questo noir risucchia il lettore in un‘atmosfera decadente, lo trasporta in un luogo, non ben identificato, della provincia italiana, lo conduce sulla scena di uno stabilimento balneare, immerso nel paesaggio marino, che ci appare potente e desolato allo stesso tempo. La coppia, formata da Angelo e Silvia, ha appena finito di litigare, e nel bar dello stabilimento si respira aria d’insoddisfazione e si avverte tutto il rancore nelle scarne parole che i due si scambiano.
Lui, Angelo, ha dei sogni che non ha mai realizzato, il più grande: aprire una libreria! Un sogno disatteso per occuparsi degli aspetti pratici della gestione dello stabilimento, ma anche perché, scopriremo leggendo, è un uomo tormentato da una dipendenza assai rischiosa: le scommesse sulle corse dei cavalli.
Angelo sistema le bottiglie di rum con malavoglia e ogni tanto si rifugia fra le pagine di un libro o vaga con lo sguardo sul bel corpo di Zena, la sensuale ragazza che fa le pulizie nello stabilimento. Angelo tenta vie di fuga dapprima mentali architettando anche quelle fisiche.
Silvia è inquieta, vorrebbe tenere aperto lo stabilimento sempre, con il bello e con il cattivo tempo, in estate e in inverno, senza badare alle perdite economiche e alla porta di ingresso tenuta su con il fil di ferro. Quell’angolo di mondo gettato di fronte al mare, abbandonato dagli uomini e da Dio, sembra rappresentare la vita della coppia, è diventato un’angusta prigione che cela una ben più intima prigionia dell’anima. Il passato non lascia mai fuggire via davvero. Angelo è un personaggio controverso, deve fare i conti con un peso che custodisce dentro di sé, con una donna, la Rossa, ex amante del passato, che oggi fa la strozzina e gli presta soldi, deve combattere con le tante difficoltà economiche ma soprattutto Angelo deve imparare a guardare in faccia le ombre nella sua anima:
“L’incapacità di sentirmi sazio era la mia bella schifezza con cui fare i conti. Ero un malato, della razza peggiore, di quelli che non ne vogliono sapere di guarire.”
Un elemento esterno piomba all’improvviso nella vita di Angelo e Silvia, è un signore dall’aspetto innocuo, di nome Bobo, un omino che chiede asilo in un pomeriggio piovoso, lui proprio sarà la miccia che farà innescare la crisi e forse la svolta.
Lo stile dell’autore è preciso, serrato, senza fronzoli ma con una profonda capacità di costruire atmosfera ispirandosi, mi è sembrato, ai migliori Simenon in cui i personaggi al limite della vita rivelano luce e ombra come ogni esistenza umana prima o poi si ritrova a fronteggiare, volente o nolente.
Il luogo è circoscritto e significativo, come il mare d’inverno della bella canzone scritta da Enrico Ruggeri, e disegna una cornice perfetta attorno a questa storia fatta di tensione sottile, ci suggerisce quanto la potenza della Natura sia sempre in agguato. La storia è tutta pervasa dallo spirito dostoevskiano di Delitto e castigo, un omaggio che è anche un soffio di ispirazione che l’autore ha voluto donare a diversi personaggi chiave, fra cui l’ex amante strozzina e al protagonista malato di scommesse.
Consigliato a chi ama uno stile noir raffinato e che scorre con un ritmo di scrittura sostenuto.
Qui sotto l’intervista di Francesca G. Marone alla Libreria IoCiSto di Napoli:
Hello, goodbye
UN NOIR ITALIANO DAL SAPORE DOSTOEVSKIANO Immediatamente, già dalle prime battute, questo noir risucchia il lettore in un‘atmosfera decadente, lo trasporta in un luogo, non ben identificato, ...