BELLO, PERFETTO, MEGLIO PERFETTINO
di GABRIELLA GRIECO
Non so. Davvero, non so. Il protagonista, un ex carabiniere riciclatosi come avvocato penalista è indubbiamente nuovo, e attira. Mi è piaciuto come l’autore ha delineato il personaggio dell’avvocato Meroni. In verità, mi sono piaciuti tutti. Ognuno ha il suo carattere che non è solo accennato, e ha il pregio di mantenersi sempre ben delineato lungo tutto il romanzo.
L’avvocato Meroni sa, come tutti i penalisti, che il suo compito non consiste nell’appurare colpevolezza o innocenza del suo assistito. Tuttavia l’habitus del carabiniere permane nel suo modo di porsi anche come difensore. Per lui è davvero importante sapere. E, di conseguenza, indaga.
Ben descritti anche il socio dello studio, un suocero molto ben disposto nei suoi confronti, l’anziana segretaria con l’imprinting della mamma di tutti, la giovane praticante, la moglie invalida combattente… E persino l’imputato, del quale il grigiore in cui ha trascorso la sua vita non suscita nessuna empatia, ma anzi ce lo fa diventare antipatico, persino lui è un ottimo personaggio che poi ci stupisce per le sfaccettature impreviste che non ci si aspettava. Perissinotto è davvero un artista a renderle così vividi. Sono molti gli attanti, e tutti mi sono rimasti impressi.
Il romanzo è scritto bene, è corretto, preciso, molto accurato nella parte… diciamo saggistica, senza errori o refusi come ci si aspetta da un editore di vaglia quale è Mondadori. La storia fila, è interessante, non ci sono salti o equilibrismi mentali. Anche la trama gialla è molto ben delineata e anche profonda. L’autore è bravissimo a farti sbattere il naso contro tutti gli ostacoli che l’avvocato si trova a dover affrontare. E pure la conclusione è perfetta, perché la giustizia trionfa anche quando sembra che tutto sia ormai perduto.
Però. Eh, accidenti sì, c’è un però. Ricapitoliamo. I protagonisti: originali e ben caratterizzati; la storia: fila liscia senza intoppi; il quotidiano che si affaccia spesso e che contribuisce al dipanarsi della vicenda: c’è, e ben dosato; i colpi di scena: buoni anche quelli, numerosi e ben congegnati. E allora? Perché, come credo ormai si sia capito, questo romanzo non mi ha presa? Sì, per carità, tutto perfetto. Anzi, perfettino. Due sono gli aspetti che hanno fatto calare assai l’asticella del gradimento. Da un lato, quel tono – sempre in sottofondo, ma sempre presente – di chi cala dall’alto la sua competenza giuridica. Non so, a me ha dato la sensazione di chi si pone in chiave di docente, più che di narratore. Ecco perché “perfettino”. Viene voglia di tiragli una pallina di carta con la cerbottana, come facevamo a scuola, per disturbarlo un po’ in quell’aria dottorale.
Dall’altro lato, la prolissità. “Il troppo stroppia” si dice dalle mie parti. E qui c’è davvero troppo. Troppe nozioni, troppi articoli di legge, troppi richiami alla procedura del presente e del passato. Arrivare alla fine richiede impegno e volontà. Ed è un peccato perché poi, quando alla fine si arriva, è bella. Le ultime cinquanta pagine si divorano. Il problema è nelle precedenti duecentocinquanta. Forse bisognerebbe sveltire il testo, asciugarlo un poco. Ma anche un tanto, forse. Così com’è, mi dà l’idea di un’occasione sprecata. E mi faccio una domanda cattivella: “Ma l’editor, in questa storia, che fine ha fatto?”
Il correttore di bozze è sicuramente intervenuto e infatti io, che pure ho l’occhio affilato, non ho trovato neppure un refuso. Questo è un pregio non da poco, visto l’andazzo di molte case editrici. Ma non sarebbe stato meglio anche una bella cura dimagrante?
In ultimo, due elementi molto soggettivi. Parlo di titolo e cover. Chi ha già letto qualche mia opinione sui libri sa quanto ci tenga alle copertine, che sono il biglietto da visita del libro. Questa non mi ispira per niente. Avessi dovuto scegliere solo in base a essa, sarei andata subito oltre con lo sguardo. E poi, il titolo! Un po’ di verve, che diamine! Non solo è piatto e anonimo, ma non fa nemmeno capire bene a cosa si riferisca. La cena è di classe, intesa come status sociale? O di classe nel senso di scuola? Sì, poi leggendo si capisce, ma sono convinta che con un poco di impegno si sarebbe potuto dare a questo romanzo un titolo più accattivante.
TRAMA
22 febbraio 2018. All’avvocato Giacomo Meroni pare una mattina come tante, fredda e limpida. I rituali di sempre: la colazione con sua moglie Rossana e il bacio, prima che lei e la sua sedia a rotelle spariscano nel taxi che le porta a scuola. E in quel bacio ci sono due sapori: l’amaro per non aver ancora individuato il pirata della strada che ha investito Rossana l’11 settembre 2001, e il piccante di una donna che non ha perso la voglia di insegnare, di fare l’amore, di essere felice e di sciare. Ma quella non è una mattina come tante, perché, dopo aver attraversato in bicicletta una Torino silenziosa e magica, Giacomo trova ad aspettarlo in studio una madamin compita e affranta; suo figlio, Riccardo Corbini, un grigio ingegnere sulla cinquantina, è appena stato arrestato con un’accusa pesantissima: lo stupro e l’uccisione di una compagna di liceo durante una cena di classe nel giugno del 1984. Le indagini per quel delitto si sono trascinate stancamente per un tempo infinito, poi, come spesso accade nei cold case, all’improvviso è apparsa una nuova prova, quella che, secondo il PM, inchioda il cliente di Giacomo. Ma Corbini è un colpevole al quale garantire un giusto processo o un innocente che deve essere salvato dall’errore giudiziario? Giacomo sa che il compito dell’avvocato non è stabilire la verità; eppure, per lui, scoprirla fa la differenza. Per questo si impegna in un’indagine difensiva che finirà per coinvolgere tutti i compagni di classe della vittima e dell’imputato, riportando a galla odi, amori e rancori mai sopiti.
Cena di classe
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