RECENSIONE
TRAMA
Berenice e Carminia vengono trovate sgozzate all’interno di una palestra di una zona periferica. Un fatto che di per sé sarebbe già orrendo, un omicidio, anzi, un femminicidio. Ma c’è di più, molto di più. Le due amiche e “colleghe” sono due apprezzatissime tanghere, due ballerine esperte e meravigliosamente portante per quel ballo così sensuale tanto che pur non essendo più giovanissime sono tra le più richieste, perché il tango è consapevolezza, erotismo, tecnica, movimento studiato, complicità con il partner e infinita grazia. Tutte cose che si acquisiscono solo con il tempo e l’età anagrafica non centra un bel nulla. Un assassinio, dunque, che può avere delle motivazioni ben precise, soprattutto perché è stato commesso in un luogo ben preciso e con una crudeltà che non può essere ignorata o sottovalutata. Blanca lo capisce e comprende anche che indagare sull’omicidio di Berenice e Carminia porterà a scoperchiare qualche vaso di Pandora che racchiude altri misfatti e altre motivazioni.
PERSONAGGI
Tanti e fascinosi, anche nella loro tragicità. Prima di tutto le due ballerine che fanno sì una fine tragica, ma insieme vengono raccontante anche nei ricordi e nelle parole della loro amica Gabriella, utilissima alle indagini di Blanca e essa stessa focus e fil rouge dell’intera narrazione. E poi l’assassino su cui i lettori si fermano a riflettere e a interrogarsi in maniera psicologia e sociale, l’innamorato e passionale Liguori per il quale non si può non tifare spudoratamente, la stessa città di Napoli, trattata dall’autrice al pari del coro delle tragedie classiche e naturalmente la stessa Blanca, la sua disabilità che diventa la sua caratteristica più apprezzata perché la rende lucidissima e meravigliosamente naturale. Insomma, niente di più e niente di meno di tutta quella umanità variegata e vibrante alla quale la Rinaldi ci ha abituati fin dal primo lavoro di questa fortunata e originalissima serie.
AMBIENTAZIONE
Le palestre di ballo sono come la stanza delle infermiere di un reparto ospedaliero, come la cucina di un ristorante, come la sede dei volontari del 118, come il centralino di un call center di una multinazionale, come la guardiola di cambio degli autisti di bus cittadini: sono microcosmi. Se non li si è frequentati non si può comprendere cosa succede davvero al loro interno. Non se ne possono comprendere le dinamiche, le tempistiche, le gioie, le risate, i rancori e i musi lunghi. In Blanca e le niñas vejas l’autrice ci prova e ci riesce a portarci il lettore nel microcosmo delle palestre di ballo e ancora di più nell’ambiente dei tangheri. È questa la forza vera di questo ultimo romanzo della serie, un viaggio virtuale in un mondo piccolo piccolo eppure straordinariamente potente.
CONCLUSIONI
La serie di Blanca non avrebbe avuto le migliaia di lettori che ha e non sarebbe diventata una serie televisiva di grande successo se la Rinaldi oltre a possedere la fantasia e l’estro giusto per creare una protagonista originalissima e potente e storie altrettanto valide non avesse avuto anche l’indiscusso dono naturale di saper raccontare. L’autrice è praticamente una poetessa mancata, una cultrice del lirismo prestata alla narrativa e questo la rende meravigliosamente ritmica, sensibile, partecipativa, emozionante. Lo stile di Patrizia Rinaldi applicato al popolare poliziesco è il dono che tutti noi lettori di genere ci meritavano! Punto.
INTERVISTA
Patrizia l’ultimo racconto della tua fortunata serie su Blanca ha come fil rouge uno dei sentimenti più atavici dell’essere umano: la vendetta. Una emozione tanto negativa quanto comprensibile da tutti gli uomini. E anche nel tuo romanzo sembra essere così, sembra che alla fine insieme alla condanna è come se ci fosse una sorta di compatimento per chi decide di vendicarsi. Cosa ti ha spinta a costruire una intera trama proprio attorno questo cardine e perché?
Nel romanzo Blanca si dice che l’unica vendetta utile è concedersi di nuovo la possibilità della fiducia; si vendica dei tradimenti ricevuti, delle offese che l’hanno segnata, provando a smantellare le difese costruite nel tempo. Non le risulta facile, non ci riesce sempre, ma forse il tentativo è già una meta.
Chi legge non può non essere colpito dalla figura di Gabriella, una sorta di Virgilio non solo per Bianca e il suo gruppo di investigatori, ma anche per tutti i lettori che alla fine si affidano completamente a lei per capire un mondo sconosciuto ai più. E dunque chi è Gabriella, esiste davvero, tu hai mai incontrato una donna così?
Per fortuna sì, l’ho incontrata: Gabriella è l’amica delle vittime che accompagna Blanca nel loro ricordo e nel mondo del tango. Difende i segreti di chi ha perduto, ma allo stesso tempo non permette che i giorni belli e terribili delle sue amiche siano dimenticati. È un abbraccio tra la volontà di memoria e la riservatezza. Gabriella riesce a rappresentare un equilibrio complesso.
Parlare di ambientazioni per questa tua ultima fatica letteraria non è facile. C’è la città di Napoli vera e quasi palpabile, c’è il mondo delle sale da ballo e dei tangheri e c’è soprattutto una location emotiva ed emozionale che è rappresentata dalla vita, dalle esistenze delle donne di questa trama e della serie in generale. E allora ti chiedo quanto della tua esistenza di scrittrice, di donna, di napoletana c’è proprio in questo tuo ultimo lavoro?
Ho ricordato il legame di Blanca con la città. Napoli diventa un personaggio parlante, un essere vivo, che si muove tra magnificenze e soprusi antichi. Non ci è dato comprendere del tutto il suo mistero. Somiglia alla vita delle donne uccise, è vecchia e maliziosa, sottolinea gli affronti con uno sberleffo. Si capisce che in fondo lei vuole solo vivere ancora, senza arrendersi alla condanna delle numerose agonie, che puntualmente smentisce, ridendo.