QUANDO LA VERITA’ E LA GIUSTIZIA SONO AD UN BIVIO
“Il pianto dell’alba” di Maurizio De Giovanni si apre esattamente con la scena raffigurata in copertina. Il giorno sta per nascere e Il rosa del cielo accarezza il profilo di Napoli, su cui si affaccia una finestra con vista. Dalle tende scostate entra un delicato soffio di vento, foriero della tragedia che lo accoglie all’interno della stanza. Sul letto coperto da un pizzo elegante giace infatti una donna priva di sensi, che impugna la pistola con cui ha ucciso il suo amante, steso al suo fianco.
Questo l’inizio e queste le apparenze, ma le cose, si sa, non sono mai come sembrano. Oltretutto la faccenda assume subito un carattere molto personale per Ricciardi, perché la donna altri non è che l’affascinante Livia Verzi, consumata da un amore non corrisposto per il commissario, mentre l’uomo è il maggiore von Brauchtisch, il precedente innamorato di sua moglie Enrica. Non solo. A complicare le cose ci si mette anche l’interferenza di autorità provenienti da Roma, che senza troppi giri di parole impongono a Ricciardi, al brigadiere Maione e al medico legale Modo, di abbandonare il luogo del delitto prima che possano farsi una qualsiasi idea sull’accaduto.
Il divieto ad indagare e la situazione di pericolo in cui si trova Livia una volta arrestata dalla polizia politica, impongono quindi ai tre di condurre le ricerche per proprio conto, anche a rischio di lasciarci la pelle e abbandonare i propri cari. Ed è proprio nel nuovo senso di responsabilità provato dall’introverso Ricciardi, che sta la nota distintiva di questo episodio, che l’autore dichiara conclusivo, ma che lascia aperti molti agganci per un eventuale futuro.
La storia è torbida e cupa, ma qui Ricciardi per la prima volta va oltre se stesso e si concede il permesso di essere felice. Sebbene gli eventi lo costringano a confrontarsi come sempre con le bassezze umane e con la disperazione dei vivi e dei morti, il commissario riesce a mantenersi intimamente, profondamente e perdutamente felice. Il motivo è la vita coniugale con Enrica, fonte di fiducia verso un futuro, che prima gli era sempre apparso solo votato all’amarezza. Enrica, capace di rendere la sua vita familiare un paradiso e veicolo di ogni speranza, perchè porta nel suo grembo un figlio.
In questo racconto Ricciardi si trova quindi a seguire il proprio senso per la verità e la giustizia, consapevole però di avere anche il dovere di difendere con tenera dedizione la propria famiglia. Cercherà quindi di muoversi in modo più cauto, ma non sarà per questo meno coraggioso nell’avventurarsi in un mondo sommerso, fatto di spie, ricatti, pericoli invisibili e colpi di coda dagli esiti imprevedibili.
Entrare nel mondo di Ricciardi è come sempre un’immersione in un’epoca storica che ci viene restituita in tutta la sua equivoca fluidità. Il bene e il male si toccano, a tratti si fondono, le parti si invertono e quello che i libri di storia riportano in bianco e nero, qui si colora delle tante sfumature su cui si basa l’animo umano. È un’epoca in cui il fascismo e il nazismo, in apparenza saldamente al potere, cominciano a mietere le proprie vittime all’interno dei loro stessi ranghi. Il romanzo è permeato dall’idea di un pericolo costante che coinvolge tutti e che cozza con l’aspirazione alla felicità di Ricciardi ed Enrica, che non possono sottrarsi alle incertezze di cui l’atmosfera è intrisa.
Un romanzo bello nella storia e nelle parole, dove De Giovanni si abbandona alla sua vena lirica, regalandoci un linguaggio emozionale di grande effetto, in grado di coinvolgere e commuovere fino al suo inatteso epilogo. Un libro che da spazio in maniera equilibrata allo svolgimento della storia e alla caratterizzazione dei personaggi, curati e vivi dal primo all’ultimo, senza eccezione alcuna.
Recensioni precedenti:
Souvenir
Il purgatorio dell’angelo
La condanna del sangue
Editore: Einaudi
Anno: 2019