IL CAPOLAVORO NOIR DI STEFANO BONAZZI
“Quando…quando cammino per le strade ho sempre… la sensazione che qualcuno mi stia seguendo. Ma sono invece io che inseguo me stesso. Silenzioso, ma io lo sento. Ma con me corrono i fantasmi… Non mi lasciano un momento!”.
Queste parole di Hans Beckert, il Mostro di Düsseldorf nell’omonimo film di Fritz Lang, capolavoro della storia del cinema, vengono pronunciate davanti a un tribunale improvvisato di altrettanti criminali che vogliono giustiziare l’uomo, il mostro, per i suoi indicibili crimini perpetuati nella loro città.
Nel monologo di Becket c’è tutta la tragedia che accompagna di solito i killer più sanguinari, i pazzi più pericolosi, gli assassini più feroci. Per comprendere il protagonista del romanzo di Bonazzi bisogna partire proprio da questo: il male come tormento interiore che si trasforma in vendetta e morte.
Un bambino lasciato nelle mani di una bestia feroce lo porta non solo a vivere l’estate più tragica della sua infanzia, ma anche a cambiargli la vita per sempre.
In A bocca chiusa il lettore scorre il nastro delle spaventose immagini insieme con il protagonista e sente sulla propria pelle le stigmate di una violenza domestica irragionevole e insensata, si immerge nella calura estiva e guarda con gli occhi del bambino lo squallore che lo circonda fisicamente tra capannoni industriali e cemento bollente e altresì lo squallore che gli preme dentro le pareti del cuore e che lo fa sentire come uno straccio lacero e abbandonato sul ciglio di una strada di periferia, dove anche il sole è impietoso con lui e lo picchia fino a non fargli sentire più nulla.
Ma il dramma familiare che parte da frustrazioni e disagio è l’induttore, l’acceleratore o la miccia della catastrofe annunciata? I lettori lo devono capire da soli perché il protagonista del libro come il Mostro di Düsseldorf è inseguito da sé stesso, dalla carogna di quella lunga estate da incubo che lo divora dentro e da cui non può sfuggire neppure se ci prova, neppure se si sublima in vapore e svanisce altrove.
Perché il carnefice ormai è dentro di lui. È lui. È questo che rende il romanzo di Bonazzi stupendamente e struggentemente tragico. L’autore non pensa a nessuna assoluzione, a nessuna risoluzione del caso, a nessuna espiazione. I lettori devono comprendere che se pensavano di essere vezzeggiati o plagiati questo romanzo non li accontenterà ma proprio come lo straordinario film di Lang li lascerà con l’amaro in bocca e a anche una certa apprensione, però, proprio come la famosa pellicola non potranno fare a meno di pensarci, di pensare a tutta la storia e di avere voglia di rileggerla ancora e ancora.
A bocca chiusa meritava una seconda vita e una nuova pubblicazione perché è un libro devastante e magnifico, unico e coraggioso, terribile e meraviglioso.
Editore: Fernandel
Anno: 2019