TRAMA E PERSONAGGI DEVONO AVERE LO STESSO PESO O LA STORIA NON FUNZIONA

di BARBARA MONTEVERDI

 

 

Eccoci qui, tutte donne ben disposte davanti a un autore simpatico, sorridente e assolutamente a proprio agio nel raccontare se stesso e il suo lavoro. Prim’attore quanto basta, autocritico quanto basta, intelligente tanto, tanto. Molte le domande, complete e non scontate le risposte. Cosa desiderare di più?

 Sei laureato in Storia e Geografia, con un master ad indirizzo commerciale e marketing, come sei approdato alla scrittura di thriller?

Mi sono laureato in Storia e Geografia a Trieste, ed è per questo che comprendo e ancora parlo un poco l’italiano, e ho lavorato nel marketing che ho lasciato non perché non mi soddisfacesse, ma perché ha preso il sopravvento il gusto della scrittura. Nato grazie alla mia insonnia: per non disturbare chi divideva la camera da letto con me, invece di aggirarmi nervosamente ho cominciato a raccontarmi storie che mi giravano nella testa fino al giorno dopo e che poi mettevo sulla carta. Il primo libro è stato “Memento mori” e da lì non mi sono più fermato.

Come mai hai ambientato il tuo romanzo nel 1917?

Il periodo scelto non è casuale. Prima di tutto si ispira alla vita di una persona (Belle Gunness) vissuta realmente agli inizi del 1900 in America e la cui figura ho trasportato in Spagna, poi ho pensato al 1917 perché è stato il momento in cui, essendo alla fine della Prima Guerra Mondiale, il mondo occidentale stava cambiando completamente e, oltre alla belligeranza, si stava confrontando con l’epidemia della cosiddetta influenza spagnola (che spagnola non era, ma così vuole la convenzione) che fece 50 milioni di vittime. Un momento storico e sociale delicatissimo.

Cosa ti preoccupa maggiormente, nella stesura di un thriller?

L’equilibrio. Tutto deve essere bilanciato. Nel caso di Terra bruciata, ci sono due protagonisti agli antipodi: Antonia Moterroso e Martìn Gallardo. La figura femminile era talmente poderosa che aveva bisogno di un altro personaggio che le impedisse di occupare tutta la scena; la stessa cosa accade con trama e personaggi, che devono avere il medesimo peso se no la storia non funziona

Che tipo di scrittore sei? Come affronti il tuo lavoro?

Ci sono scrittori “di mappa”, quelli che prima di cominciare hanno già uno schema mentale pronto: inizio, sviluppo della vicenda, conclusione; poi ci sono gli scrittori “di bussola”, come me, quelli che iniziano e si lasciano guidare dall’intuito. Io sono un analitico disordinato. Cioè, gli altri mi dicono che ho una mente disordinata, ma io mi trovo benissimo così.

Per Terra Bruciata so che hai fatto un viaggio per capire dove ambientare la storia.

Sì, mi sono messo in macchina per trovare il luogo giusto nel quale sviluppare la trama. Ho girato nella Castiglia del sud, in Estremadura e nell’Andalusia orientale, fino a che ho trovato un paesino rurale che era esattamente quello che cercavo: era ancora nelle medesime condizioni dell’inizio del ‘900 e ho cercato di conoscerlo il più profondamente possibile, conoscere la sua storia, capire chi comandava all’epoca in cui volevo ambientare il romanzo.

Com’è nata l’idea di questo thriller storico?

Inizialmente doveva essere una sceneggiatura per il grande schermo, ma arrivato al capitolo 3 mi sono reso conto che la struttura stessa della sceneggiatura stava soffocando il racconto perché bisogna attenersi a regole ben precise, risalenti al 1947 e codificate, non ci si può allontanare da questi parametri. Così ho lasciato perdere la sceneggiatura (che ho ripreso più tardi modificandola) e ho ricominciato a scrivere la storia in forma di romanzo, che ho poi presentato al concorso Nadal, vincendo il primo premio.

Qual è il segreto per rendere avvincente una storia?

E’ fondamentale dosare le informazioni; gli eventi di questo thriller, per esempio, non potevano essere soffocati da dettagli tecnici come la situazione politica della Spagna, o le condizioni delle ferrovie spagnole. Meglio lasciar cadere, quasi casualmente, qualche accenno: i rumori e gli odori di una locomotiva, per esempio, senza fare un trattato sulla struttura del treno e della linea ferroviaria per mostrare quanto lo scrittore sia ferrato in materia. Questo distrarrebbe il lettore dalla storia, gli farebbe perdere la presa e l’interesse.

Leggendo il tuo libro, sembra quasi di veder scorrere le immagini di un film. Come fai?

 Ho una scrittura audiovisiva: prima immagino le scene, poi le scrivo. E il lettore quando legge si immagina le scene descritte. Ho lavorato su adattamenti per il grande schermo di libri miei e di altri autori (per esempio Dolores Redondo), in Spagna stanno trasmettendo la mia prima trilogia. Ma non è facile adattare i romanzi perché stiamo parlando di tipologie di linguaggi assai differenti e molti scrittori restano scontenti del risultato sul grande schermo di un loro libro, perché non si rendono conto della fatica che si fa a trasformarli. Per questo io, quando scrivo, faccio sempre molta attenzione immaginando che potrebbe diventare un testo da adattare al grande schermo, così limito i danni.

Ti è capitato che i personaggi prendessero una strada indipendente dai tuoi progetti?

Certamente. Spesso se ne vanno per i fatti loro e se vedo che il fuori programma ravviva la trama, tanto meglio: se mi stupisco io, si stupiranno ancora di più i lettori. E se la conseguenza è la morte, che so, del protagonista – magari pure simpatico – ci sta benissimo. Il lettore ci rimane male? Deve abituarsi ai colpi di scena, non sta scritto da nessuna parte che il protagonista debba arrivare sano e salvo in fondo al libro.

Sei stato tradotto in molte lingue, che rapporto hai con le traduzioni dei tuoi libri?

Nessuno, proprio nessuno. Non rileggo mai nemmeno il libro pubblicato in spagnolo. Se dovessi mettermi a ragionare su un testo tradotto, non farei altro nella vita. Ognuno fa il proprio mestiere e io mi fido. Poi, è vero che nel caso dell’edizione italiana, avrei preferito che il titolo fosse più vicino all’originale (Bajo tierra seca – Sotto la terra arida) perché avrebbe dato un aggancio alla mia prossima pubblicazione (uscirà a maggio in Spagna), che è una sorta di seguito a questo thriller, anche se il primo volume è autoconclusivo. Solo che ho sentito la necessità di riprendere dei personaggi e fargli fare altre cose: mi erano restate delle storie dentro e il titolo spagnolo si collega meglio. Ma gli editori troveranno sicuramente una soluzione soddisfacente, come sempre.

Riesci a leggere thriller o altro quando stai scrivendo, o non ti vuoi distrarre?

Leggo tranquillamente di tutto, anche thriller, quando scrivo, tanto scrivo sempre. Sono convinto che i colleghi che dicono che non riescono a leggere mentre scrivono qualcosa, in realtà non leggono mai. Non è concepibile, per me, fare una separazione: adesso scrivo, ecco ho finito, adesso leggo. Anche perché mi vengono inviati dalle case editrici vari testi da recensire e ho sempre una pigna di libri da valutare; spesso li leggo di fretta e a spizzichi e bocconi: inizio, parte centrale, fine. Mi applico (e consiglio) solo quelli scritti davvero bene, indipendentemente dall’argomento, è la scrittura che mi prende davvero.

Hai mai provato a scrivere collegialmente con altri colleghi?

No, no, non fa per me. Scrivere a più mani è rischiosissimo, finisci per litigare con tutti. Gli scrittori hanno un ego solitamente smodato ed è quasi impossibile andare d’accordo. Continuerò a scrivere da solo e spero che i lettori mi saranno sempre affezionati come hanno dimostrato fino ad oggi.

 

 

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