TIENIMI LA MANO, AMICO MIO
di ANTONIA DEL SAMBRO
Lo sapevo. Tutti sapevamo che Ricciardi ci avrebbe salutato allo scoppio della Seconda guerra mondiale. De Giovanni lo aveva detto più volte e lo stesso commissario ci aveva abituati all’idea, soprattutto nel romanzo precedente della serie.
Quando il mondo sarebbe impazzito un’altra volta, quando l’Europa sarebbe bruciata a causa di ideali, valori e teorie inumane e criminali, il commissario Ricciardi sarebbe sparito. L’uomo, il padre, il poliziotto con il suo bagaglio di umanità e dolore, nostalgia e blues, determinazione e prudenza, sentimento e ragione non avrebbe mai potuto operare in quella Italia smembrata e in guerra, ostaggio di leggi tanto assurde quanto feroci; né condividerne nulla.
Il commissario lascia, allora, la grande città per la terra natia dove, però, ad attenderlo ci sono altri conti in sospeso da assolvere ed evadere. Deve farsi forza Ricciardi, allora, e chiudere tutto. Poi, sarà quel che sarà.
E allora sotto gli occhi dei lettori si consuma un ritorno che è insieme un addio.
Un percorso e un viaggio che Ricciardi non intende fare assolutamente da solo ma con il miglior amico di sempre, il suo confidente più stretto, il suo alter ego spostato in avanti di qualche decennio: Maurizio De Giovanni. A lui Ricciardi parla e racconta, gli chiede di seguirlo in questa ultima faticosa vicenda che forse segnerà per sempre la fine o forse sarà solo una lunghissima pausa per ricaricarsi dalle brutture del suo tempo e guardare il mondo con occhi rinnovati da un futuro ancora possibile. Maurizio è accanto a lui. Non scrive nulla che il commissario non gli racconti, non appare mai né come narratore, né come deus ex machina. La sua presenza è quella dell’ascoltatore attento. Di colui che riporta una voce che desidera ancora farsi ascoltare. Ricciardi parla, Maurizio ascolta e scrive. Scrive di nostalgia e ritorno, di scelte, imposte o volute con determinazione, di un’ultima indagine sotto cui scrivere, forse, la parola fine. E mai, mai, mai i lettori italiani hanno visto un rapporto scrittore/personaggio più accorato, simbiotico, emozionante e compito come questo di Ricciardi e De Giovanni in Volver. Per chi legge è come guardare un uomo sul treno che stringe tra le dita, le dita di un altro uomo, rimasto sul marciapiede a vederlo partire. Volver è quell’ultimo tocco tra due individui che si sono voluti davvero bene e che forse si rincontreranno ancora, o forse no, ma che si sono rispettati e sorretti meravigliosamente a vicenda per molto, moltissimo tempo.
Le dita si sfiorano e si stringono ancora una volta. Ora si sono davvero detti tutto.
Tra cento anni chi avrà tra le mani questo romanzo invidierà i contemporanei di De Giovanni per tanta struggente e intesa bellezza. Trovatevi un posto tutto per voi per leggere Volver. Un posto senza rumore e senza caos. E assaporatene ogni pagina.
Ogni sfumatura accorata di parole diventate tango e di musica diventata sentimento.
TRAMA
Serve coraggio quando si parte, ma a volte ne serve ancora di piú quando si torna. È il luglio del 1940, l’Italia è in guerra. Ricciardi – preoccupato per la figlia Marta e per i suoceri, in grave pericolo a causa delle origini ebraiche – ha ormai trasferito la famiglia a Fortino, il paese dove è nato. Lí, nei luoghi dell’infanzia, sperava di avere un po’ di quiete. Invece, mentre in città il fido brigadiere Maione cerca di salvare un comune amico da morte certa, tra le montagne del Cilento il commissario è messo faccia a faccia con un passato che avrebbe voluto scordare. Per lui, e non solo per lui, è arrivato il momento di regolare i conti con la propria storia. Del resto è questo, quasi sempre, il destino di chi torna.
Volver
TIENIMI LA MANO, AMICO MIO di ANTONIA DEL SAMBRO Lo sapevo. Tutti sapevamo che Ricciardi ci avrebbe salutato allo scoppio della Seconda guerra mondiale. De Giovanni lo aveva detto più volte e ...