UNA PRIMAVERA LUTTUOSA PER BRAMARD E ARCADIPANE. MA IN STILE PIEMONTESE.
di BARBARA MONTEVERDI
Mi aspettava da tempo, questo libro, con calma olimpica e un sorrisetto sornione che intendeva dirmi “Rimanda, rimanda, tanto qui devi finire!”. E infatti.
In realtà, era la certezza di quel che ci avrei trovato a non mettermi fretta: Longo scrive benissimo, le sue trame non sono mai banali, i personaggi ti restano incollati addosso e volevo trovare il momento perfetto per godermelo. Non so se è questo, ma alla fine è arrivato.
L’intenzione dell’autore era scrivere un prequel che ci mostri Arcadipane giovane ispettore alle prese col commissario Bramard, geniale ma alcolista e decisamente scomodo da gestire. In realtà, Longo ha partorito l’ennesimo romanzo di spessore che parla di solitudine intima e profonda, dolore esistenziale e sì, anche vittime a cui si spara dritto in faccia in un elegante attico alle porte di una Torino umida oltre l’accettabile, dopo settimane di grigia pioggia continua.
E’ un romanzo splendido, un noir a tutto tondo, pieno di atmosfere brumose, di fumo di Gitanes e di aria gonfia di esalazioni delle fabbriche. Potrebbe benissimo essere la periferia parigina degli anni ’50, operaia, grigia, alcolica, invece è Torino e dintorni alla fine degli anni ’80 del 1900, ma la cartolina in bianco e nero è la stessa.
Avvia l’Alfa e, tenendo il motore a bada, costeggia il lungopò a passo d’uomo. Niente, solo qualche tossico che si aggira con la fretta che hanno sempre di andare da nessuna parte; un travestito che batte, ma lo conosce e se l’avesse visto gli farebbe cenno per dirglielo, una coppia di stranieri che hanno bevuto e che andrà bene se domattina avranno perso solo il portafogli. La città si lascia attraversare senza negarsi né ricambiare. Così è Torino. La pioggia si è fatta più rada e inutile, eppure non molla.
Senza negarsi né ricambiare. Così è Bramard, disperato, ruvido, abbandonato dalla vita, sembra trascinarsi tra palazzi e cadaveri senza uno scopo apparente, eppure anche lui, come la pioggia, non molla. E’ davvero molto intelligente l’idea di sovrapporre un essere umano alla città che gli assomiglia come un gemello siamese e se ami l’uno, non puoi fare a meno di amare l’altra. Incondizionatamente.
Così come fa Arcadipane, per ora ancora giovane ispettore, che più diverso dal suo commissario non potrebbe essere: intuitivo ma fumino, affettuoso e persino romantico, è entusiasta, devoto al capo e al proprio lavoro e non le manda a dire a nessuno.
Tutte le figure che Longo incastona nel suo racconto sono ben delineate, hanno profondità e spessore, sono vive, credibili, fatte di carne e spesso fanno battere il cuore perché dietro l’aspetto severo o trasandato il lettore ci vede l’anima, la sofferenza, i sogni.
Ma chi mi legge, giustamente si chiederà: va bene l’arte dello scrivere e la sapienza di uno sguardo profondo, ma la suspense dove sta? C’è pure quella, naturalmente, perché Longo è autore completo (e sgamatissimo, se mi posso permettere) e costruisce, passo dopo passo, un noir imperdibile, originale, con sviluppi imprevedibili che tengono agganciati al libro.
Romanzo da non perdere, come tutti quelli precedenti. Ma questo di più.
TRAMA
Eric Delarue, poco più di cinquant’anni, origini francesi, bello, istrionico, di successo, sposato con una donna ricca: un po’ per sfotterlo, un po’ per invidia, gli operai della fabbrica di cui era il responsabile lo chiamavano Julio, come Julio Iglesias di cui aveva l’irresistibile sorriso. Chi poteva odiare uno così al punto da sparargli sulla porta di casa? Un’indagine che parte in salita vista l’assenza di indizi e testimoni, fino a quando non arriva la rivendicazione di uno sconosciuto gruppo terroristico che sembra convincere le alte sfere della polizia e, soprattutto, i capi della società per cui Delarue lavorava, desiderosi di chiudere in fretta la faccenda. L’unico a non credere alla pista politica è il commissario Bramard, che nessuno prende sottogamba, sebbene in questo periodo la sua mente sia spesso annebbiata dall’alcol. E come lui la pensa il giovane ispettore Arcadipane, che quasi ogni notte lo recupera nelle osterie per rimetterlo in sesto e assicurarsi che il mattino dopo si presenti in questura. I due inseguono la verità muovendosi tra la livida e rugginosa cittadina dov’è avvenuto il fatto e la Torino dell’alta borghesia. Tra i segreti inconfessati di una certa provincia e i tentativi di depistaggio di chi vorrebbe mantenere privati i propri vizi. Un caso davvero complesso, la cui soluzione porterà Bramard e Arcadipane a fare i conti con tutte le sfumature della parola giustizia.
Requiem di provincia
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