IMMERSIONE ALLA FINE DEL 1500, QUANDO NON ESISTEVA IL POLITICAMENTE CORRETTO
di BARBARA MONTEVERDI
Eccomi a muovermi in un campo minato, perché so per certo che il termine “zingari” è ritenuto offensivo dal popolo Rom e qui ce l’abbiamo proprio nel titolo – oltre che ripetuto innumerevoli volte nel testo. Vero è che questo giallo storico è ambientato alla fine del 1500 e certamente all’epoca non ci si preoccupava con il politicamente corretto, ma io cercherò ugualmente di usare altri termini per indicare questa comunità, visto che l’italiano è fortunatamente ricco di alternative lessicali.
E quanto al lessico, diciamo subito che Ottavia Niccoli scrive davvero bene adattando la lingua all’epoca, ma senza esagerare e, anzi, riuscendo a rendere il racconto di piacevolissima e coinvolgente lettura. Tra un avvenimento e l’altro, poi, ci regala anche qualche curiosità sugli usi e costumi delle terre in cui si svolge la storia, l’Appennino bolognese.
All’osteria – un fabbricato dai muri scrostati, con un po’ di portico davanti e una frasca verde sulla porta – Dorotea e Camillo erano seduti sulla panca che fiancheggiava il lungo tavolo, davanti a un piatto di polpette. (…) Camillo sembrava a disagio. “Non ci hanno dato le forchette, signor zio.” mormorò rivolto a don Tomasso guardando con espressione incerta il cucchiaio che aveva in mano. Il prete sorrise. “In campagna non si usano, dovreste saperlo, signor conte! E neanche a Bologna, a dire il vero, fuori che nelle case dei signori. Per questo io porto sempre con me la mia posata”, e trasse dal tascapane il coltello e un astuccio che conteneva una forchetta e un cucchiaio d’argento. “Non avete con voi un coltello? In posti più poveri avreste dovuto tirar su le polpette con un pezzo di pane o al più con un cucchiaio di legno.”
Don Tomasso (sì, proprio con una M e due S) è un religioso atipico, poco espansivo, severo, ma estremamente curioso. In questo romanzo (il secondo della serie) lo troviamo moralmente provato dopo un’indagine piuttosto impegnativa e il nipote aristocratico – il conte Ercole – lo spinge a recarsi nel suo feudo di Cerreto per occuparsene temporaneamente, svagarsi un po’ e aiutare il figlio Camillo a trovare la sua strada, ma Tomasso sembra una di quelle persone che i guai se li portano dietro come una torma di gattini importuni e, naturalmente, inciampa in un morto ammazzato ancora prima di giungere a destinazione.
Da qui in avanti, il racconto rallenta l’andatura perché i sospetti per il delitto e altre azioni criminali cadono alternatamente sulla comunità Rom e sugli abitanti del borgo, con i ripensamenti di Don Tomasso, che non vuole agire con precipitazione, e le spinte in avanti di Camillo e di un altro giovane che lo supporta come aiutante di campo.
Questo passo lento e tentennante toglie parecchia suspense al racconto che resta, però, un bel romanzo storico breve, non ponderoso e ricco di ottime ambientazioni, da leggere anche per immergersi in un’epoca sconosciuta ai più e decisamente ricca di fascino.
Domenica 4 aprile – Domenica mattina, ancora presto. Una giornata fresca, di mezzo sole, col vento che faceva correre le nuvole sopra i tetti. Come tutte le settimane, e come quasi tutti i giorni, gli abitanti e gli ospiti del ricovero di San Biagio si preparavano per andare ad ascoltare la messa che Don Tomasso avrebbe detto nella chiesa di fronte. Era una chiesa vecchia, non molto ampia, un po’ scura, curata da una confraternita che aveva anche un suo oratorio lì accanto; una statua in legno dipinto di San Biagio, il santo che cura il mal di gola, era illuminata da una fila di candele in una delle prime cappelle. Il 3 febbraio di ogni anno, festa del santo, le donne della parrocchia portavano a don Tomasso dei piccoli pani perché li benedicesse: si diceva che giovassero a chi soffriva di quel malanno, e Dorotea, che era devota di san Biagio, assicurava che il sollievo era immediato, soprattutto se l’infermo aveva involontariamente ingoiato una spina di pesce o una scheggia d’osso.
Non so se sia il caso di provare questo rimedio, direi di no, ma è curioso constatare che, comunque, San Biagio rimane ancora oggi il protettore contro la iattura del mal di gola e come i piccoli pani siano stati sostituiti dal panettone – decisamente più invitante. La Storia passa anche attraverso la cucina, chissà se ci passano anche i delitti… A voi scoprirlo leggendo questo romanzo.
TRAMA
Don Tomasso viene incaricato dal nipote di occuparsi del piccolo feudo di Cerreto sull’Appennino bolognese. Ma già lungo il viaggio si imbatte in un uomo assassinato con un colpo di archibugio. Se a ciò si aggiungono la presenza di un gruppo di zingari accampati ai margini della tenuta, oscuri traffici di contrabbando e un altro omicidio, ecco che la vacanza del sacerdote si trasforma in una brutta faccenda da sbrogliare, per ristabilire la giustizia in paese e in famiglia.
Nel campo degli zingari
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