IL FUTURO DI AVOLEDO NON E’ MAI STATO COSI’ VICINO.
Ho uno strano rapporto con i libri di Avoledo: adoro la sua scrittura, ma spesso arrivo alla fine perplessa e non del tutto convinta. Sarà la sua fantasia sfrenata e corrosiva, sarà che parte mostrando un mondo, un personaggio, dei sentimenti che poi capovolge cammin facendo, fatto sta che non riesco a tenermene lontana, ma da vicino mi scotto.
Questa volta, però, penso di essere riuscita a entrare in sintonia col suo narrare, mai semplice, mai scontato ed estremamente stimolante.
In un futuro prossimo, post pandemico e – presumibilmente – pre molto altro, Marco Ferrari (ex poliziotto dalle imprese non sempre cristalline e giallista di successo) vive da anni in Germania, ma torna nella terra natia del Friuli per vendere la casa dei genitori e mal gliene incoglie.
Magda dice sempre che -nella remota possibilità che esista una vita oltre la morte e nell’ancor più remota possibilità che davvero il portinaio dell’Aldilà sia un vecchio ebreo con l’aureola e un gran mazzo di chiavi – alla domanda “Professione?” io, anche dopo anni trascorsi a fare lo scrittore, risponderei “poliziotto”. Mentre afferro al volo le chiavi dell’auto ed esco di corsa non posso che darle ragione. Se fossi un lupo mannaro ululerei al plenilunio. Da ex poliziotto, sono le scene del crimine a farmi rizzare il pelo e spuntare le zanne. Stacco la spina di ricarica e avvio la Tesla, che si sveglia con un fremito da grande felino. Mi immetto sgommando sul viale e sfreccio sull’asfalto deserto in direzione del lungomare. Quattro minuti e sono all’altezza del Bagno 6. Corro lungo il vialetto che dalla strada porta alla spiaggia senza incrociare anima viva. Potrei essere l’ultimo uomo rimasto sulla Terra.
La trama è decisamente intrigante perché il protagonista si trova coinvolto in una storia in cui si muovono russi, ucraini, cinesi (ormai padroni incontrastati della Penisola) e nazisti passati e presenti. Sembra una macedonia, ma è tutto molto ben calibrato e assai disturbante perché il futuro prossimo, molto prossimo, che Avoledo ci presenta è estremamente credibile, quasi a portata di mano e non veste bene: un abito non adatto a chi lo indossa, che tira da un lato e pende dall’altro, magari fatto di un tessuto urticante.
Insomma, io sono qui con questo libro corposo tra le mani che scorre via come un fiume in piena nonostante le sue 447 pagine e m chiedo come fa l’autore a creare questa sensazione di piacere nella lettura e, in contemporanea, disturbo nel viverla, come riesce a riempirmi di brividi e angoscia e al tempo stesso obbligarmi a restare incollata al suo narrare. La risposta c’è, evidentemente: Tullio Avoledo è un gran scrittore. Pungente e scomodo. Quel che ci vuole oggi per oliare le rotelline del cervello, da troppo tempo funzionanti al minimo.
E proprio perché la testa ha ripreso a girare nel modo giusto (forse) ho notato a metà libro un piccolo inciampo quando un giovane antiquario dichiara “Non sono uno storico. A me interessava solo per la sua antichità e per il valore in sé, non certo per quello che c’era scritto.” Ma ci era stato detto che costui si era laureato in storia…proprio nessuna curiosità? Sembra incredibile. Allora, forse è una scivolata (capita), forse no, però questo spiraglio di umana fallibilità in un autore così complesso mi permette di tirare un sospiro di sollievo e sentirmi meno schiacciata dal peso di questa storia travolgente e nera. Molto, molto nera. Provare per credere.
TRAMA
Marco Ferrari è un ex poliziotto che per aver creduto nella giustizia ha dovuto lasciare l’Italia rifugiandosi in Germania, dov’è diventato uno scrittore di gialli di successo. Costretto a tornare nel suo paese d’origine per mettere in vendita la casa al mare in cui ha trascorso le estati della sua infanzia, diventa testimone involontario di un rapimento sulla spiaggia deserta. Imbarcatosi di slancio in un’ostinata indagine personale che si dipana tra una Trieste oscura e una località balneare friulana meta dell’invasione giovanile della Pentecoste, Marco si districa in uno slalom mortale tra misteriosi antiquari e inquietanti balli in maschera, politicanti corrotti e agenti nazisti. Lungo la strada, costellata di ostacoli e minacce, lo accompagna una galleria di personaggi affascinanti e ambigui – una bellissima e fatale veterinaria, un enigmatico poliziotto cinese e un giovane seminarista ucraino in possesso di un documento per cui qualcuno è disposto a uccidere -, fino al drammatico epilogo, che costringerà Ferrari a sostenere lo scontro che ha sempre cercato di evitare, quello con il suo passato.
Ascoltate l’incipit letto da Barbara:
Come navi nella notte
IL FUTURO DI AVOLEDO NON E' MAI STATO COSI' VICINO. Ho uno strano rapporto con i libri di Avoledo: adoro la sua scrittura, ma spesso arrivo alla fine perplessa e non del tutto convinta. Sarà la ...