Gente sbagliata

Gente sbagliata

LA VERITA’ NELLA SOLITUDINE

E’ difficile parlare di un romanzo, come quello di Alessio Piras, quando sai che il suo autore si occupa di recensioni su questo sito. Sembra quasi obbligato che ci piaccia, ma prima di fare questa recensione ho riflettuto molto. Al conflitto d’interesse, alla propensione al non offendere, insomma ho pensato a tanto prima di avventurarmi tra le pagine di questo romanzo. E forse non dovevo farlo, dovevo leggerlo come se ne leggono tanti, indipendentemente dall’autore.

Beh, è quello che ho fatto. Ho letto “Gente sbagliata” chi sia l’autore non m’interessa ed il romanzo te lo fa dimenticare. Un romanzo, logicamente ben scritto, ma dalla costruzione originale e con dei protagonisti che scardinano il comune sentire per lasciare spazio alla normalità. Prima indagine di Jacopo Ravecca, una specie di Maigret italiano, sempre a mangiar focacce, sbrindellato a confronto del sottoposto Rapisarda che si veste sempre di tutto punto. Ravecca è un uomo che indaga e sta bene nella sua pelle. Non ha bisogno di niente. Un matrimonio felice con Dafne, fotografa, una città dove fuggire, Genova, ed un appartamento in centro a Milano che rimane il suo brodo primordiale.

La trama è veramente frutto della lettura dei grandi classici da parte dello scrittore, ha saputo dividere quello che è innovazione dallo stantio. Nel suo atteggiamento classico da poliziesco, Piras dà la svolta innovativa che fa sempre piacere. Esiste un tema centrale che coinvolge tutti. In questo romanzo è la solitudine, non vista come l’essere soli ma come l’essenza che si può ricercare anche essendo in mezzo ad una pletora di persone. La solitudine diventa per il commissario e per la vittima parte fondante del proprio essere. Un punto dal quale ricominciare ad essere noi stessi.

Molto interessante l’incipit, il capitolo iniziale e quello finale che sembrano raccontarci qualcosa di trovato, quasi rubato. La storia non vuole essere dell’autore, ma una trasposizione da quel libretto trovato in biblioteca. Per quanto riguarda la storia, le carte vengono messe subito sul tavolo, l’unica cosa che ci tiene nascosto è l’assassino, ma basta poco, una decina di pagine e l’autore mischia tutto. Fa sorgere nei lettori il dubbio, lo stesso che attanaglia Ravecca che a differenza dei classici è a conoscenza di poco rispetto a noi. Noi sappiamo molto, ma quello che sappiamo è vero? Questo lo potrete conoscere solo leggendo.

Un esordio per Ravecca veramente non semplice da eguagliare. Difficile è per l’autore cercare di trovare lo stesso piglio emotivo, psicologico che è riuscito ad esacerbare nella prima indagine, come caratteristica dei protagonisti. E’ con la sua scrittura senza fronzoli che l’autore ci avvinghia alla narrazione. Un’avventura che segna in modo significativo l’esordio di Ravecca.

Qualche tempo fa, mentre studiavo in una delle sale della Biblioteca Nazionale di Brera, a Milano, di fronte a me si sedette un uomo dalla statura simile alla mia, con una barba speculare a quella che porto io e i capelli solo una tonalità più chiari. Di corporatura era, forse, appena più sottile di me. Circa a metà mattina mi alzai per prendere un caffè al bar; quando tornai l’uomo era sparito. Al suo posto trovai un quaderno con la copertina rossa, le pagine scritte con una grafia fitta e comprensibile, accompagnato da alcuni fogli sparsi, che erano frutto della scrittura di un’altra persona. Probabilmente lo aveva dimenticato perché era dovuto andarsene di fretta.

Editore: Altrevoci
Anno: 2020