“BILLY STAVA ALL’ULTIMO PIANO, COME TUTTI QUELLI CHE ANDAVA A TROVARE McCOY”
Seconda avventura dell’ispettore Harry McCoy, il tormentato personaggio nato dalla penna di Alan Parks, Il figlio di febbraio (ed. Bompiani) è un thriller perfetto a partire dallo stile, secco e nitido come le mattine d’inverno scricchiolanti di neve che gli fanno da cornice.
Indimenticabile il protagonista e magnificamente delineati i comprimari, l’amico d’infanzia Cooper, il fedele luogotenente Wattie, l’ispettore capo Murray, e ancora la calcolatrice Elaine, il beffardo psicopatico Connolly, e Jumbo, il ragazzone triste che dopo aver partecipato controvoglia all’ennesimo massacro se ne va al cinema a vedere Il libro della giungla… Perfetta poi la storia, che inanella i suoi colpi di scena con la grazia d’un cobra che snoda le spire in ampie volute inesorabili e letali.
McCoy, il poliziotto sopravvissuto a un’infanzia abusata in un orfanotrofio degli orrori; il solitario McCoy che ama perdersi nel sesso e nelle droghe, non sopporta la vista del sangue ed è legato da un debito inestinguibile all’ex compagno di prigionia Stevie Cooper, attuale pezzo grosso della malavita cittadina (che l’ha salvato e protetto fin quando ha potuto dagli abusi dei pervertiti uomini di Chiesa e non susseguitisi alla guida dell’orfanotrofio), si trova ne Il figlio di febbraio a fronteggiare uno schietto psicopatico, o “quanto di più simile a uno psicopatico puro si possa immaginare”: come gli spiegherà Abrahams, ex psichiatra radiato dall’albo per uso eccessivo di lobotomie e poi rinchiuso nel carcere di Barlinnie, che Connolly l’ha conosciuto tempo addietro.
Sì, perché nel frattempo ci troviamo, come di consueto per questo magnifico autore dal passato atipico (ha fatto il discografico per una vita nella swinging Glasgow degli anni ’70 per poi esordir da scrittore con Gennaio di sangue, debutto del detective McCoy, e la calendarizzazione fa ben sperare in almeno altri dieci libri) – nel 1973, in un pugno di giorni a metà febbraio, e le lobotomie vanno sostanzialmente via come il pane: o meglio, hanno forse appena smesso d’essere applicate in pratica a chiunque lamenti anche solo un mal di testa, per esser sostituite da terapie farmacologiche vista “l’imprevedibilità degli effetti”, spiegherà a McCoy un altro terapeuta (effetti che però spesso portano al totale annullamento della personalità, in sostanza entri con l’emicrania ed esci vegetale).
In carcere appunto per aver applicato la lobotomia a poveri disgraziati ridotti a non ricordare neppure il proprio nome, Abrahams è una sorta di fossile guida in questo museo degli orrori che Parks ci squaderna davanti. Un percorso ad infera sulle tracce dell’elusivo, sfuggente, lucidamente fuori di testa Connolly, ex manutengolo dell’ennesimo potente locale: nello specifico, di Jake Scobie, il padre di Elaine, ricchissimo uomo d’affari dai traffici dubbi, che l’ha ingaggiato come manovalanza senza immaginare i futuri sviluppi e l’attrazione dell’uomo per la figlia.
Responsabile d’una serie di assassinii particolarmente ricchi di atroci dettagli (non ultime le scritte incise a sangue sulle membra delle vittime, torturate ingegnosamente prima d’essere uccise o di morir da sole per le sevizie), Connolly, che apre le danze con l’omicidio del fidanzato della giovane Scobie e dopo aver tenuto segregate le sue prede le lascia a marcire in tane maleodoranti ingombre di contenitori numerati con i suoi escrementi suddivisi per data e tipo; Connolly, che si sente marcire dentro e dall’occhio sinistro non ci vede quasi più; Connolly che riesce a coglier di sorpresa il pur guardingo McCoy, riuscendo quasi a farlo fuori prima d’esser costretto alla fuga dall’improvviso arrivo d’un involontario testimone (che pure lui finirà quasi accoppato…); Connolly che brucia d’amore per la bellissima Elaine e rapisce ragazze risucchiandole fisicamente nei sottotetti mentre sono in bagno a rifarsi il trucco per poi dileguarsi sfuggente e imprendibile come un gatto, un serpente, un essere a metà tra l’uomo e la bestia; Connolly ossessionato dall’orrore che gli fermenta dentro e McCoy tormentato da un passato mai metabolizzato, mai digerito del tutto, pronto a risalire e a trasformarlo, a sua volta, in una bestia assetata di sangue, sono i due antagonisti centrali del romanzo.
Il passato, questo il tema centrale de Il figlio di febbraio: un passato infetto, mal curato – o affatto curato – da guaritori maldestri o incapaci o semplicemente non al corrente, volutamente esclusi (per amore, orgoglio, vergogna, ormai irreversibile follia) dalla condivisione dell’orrore; un passato che brucia dentro e dà la febbre – e febbraio era per gli antichi romani il mese delle febbri, le perniciose febbri infettive che rappresentavano l’ultimo e più temibile colpo di coda dell’inverno -, una febbre che chiede d’esser placata, spenta: nell’amore forse, o in qualcosa che comunque gli assomiglia, per McCoy, che con la sua Susan (in procinto di laurearsi in psicologia!) occasionalmente riesce a sperimentare quanto di più vicino a un’illusione di pace domestica gli sia forse consentito di vivere (“Si guardò. Un uomo di trent’anni, un detective, che si faceva la barba a casa della sua ragazza. Con tutto quello che era successo, lui non si era bloccato lì. Era riuscito a lasciarsi tutto alle spalle e voleva che tutto restasse così com’era”); nell’affondare il coltello nella carne delle vittime urlanti, per Connolly; nell’imporre il proprio dominio d’impresario criminale sul Northside scosso dalle guerre tra bande, per Cooper…
Intorno a loro, accanto a loro ruota la danza dei comprimari: su tutti Elaine Scobie, l’incantevole giovane lady dal cuore freddo annidata nel suo atelier pieno di vecchie cose come un ragno nella sua tela o forse come un topo, o una gazza ladra, qualsiasi creatura abbia per uso di racimolare e portarsi a casa le briciole luccicanti recuperate dal vasto catalogo di ciarpame del mondo: “…grandi occhi blu e un fisico mozzafiato… era appoggiata a un vecchio mobile a cassetti; indossava una tutina di seta blu, scarpe verdi con la zeppa e un’espressione disgustata. Il negozio era pieno di roba recuperata chissà dove. Vecchi segnali tranviari, busti recuperati di generali morti, portavasi di legno con sopra pitali nei quali crescevano felci… McCoy guardò il cartellino del prezzo su una camicetta appesa alle corna di un cervo. Era più di quello che aveva speso per il suo completo”. Elaine apprendista strega dalla scienza ancora incerta, che per amor di ciò che luccica e risplende susciterà un incantesimo che poi non sarà più in grado di spezzare…
Precedenti recensioni: Gennaio di sangue
Traduzione: Marco Drago
Editore: Bompiani
Anno: 2019