Torna in libreria pubblicato da Fazi nella collana Darkside, il maestro del thriller Michael Robotham, di lui Stephen King ha detto: «Michael Robotham non può scrivere un libro brutto. Questo è uno dei suoi libri migliori, pieno di suspense, è difficile posarlo» …

Quindi perché posarlo, anzi perché non iniziarlo leggendo subito l’estratto che la Bottega del Giallo vi offre in anteprima.

TRAMA

Vent’anni fa, il fratello di Cyrus Haven ha ucciso i loro genitori e le due sorelle gemelle. Da allora Cyrus, tramite il suo lavoro di psicologo forense, cerca di capire perché le persone commettono crimini così terribili. Ora che Elias è stato dimesso dall’ospedale psichiatrico dove era stato recluso, per lui è giunto il momento di tornare a far parte della società e Cyrus si trova di fronte a un bivio: è pronto a fidarsi dell’uomo che ha distrutto la sua infanzia? Evie Cormac, che ha il dono di capire quando le persone mentono, non ne è così sicura. La ragazza è finalmente uscita dall’istituto per minori di Langford Hall, si è trasferita a casa dello psicologo e cerca di costruirsi un futuro da persona libera. Nel frattempo Cyrus, perseguitato dai suoi fantasmi, viene convocato dal commissario Parvel per un nuovo caso misterioso: un pensionato è stato ucciso nel suo appartamento e pochi giorni dopo anche la figlia, dapprima scomparsa, viene trovata morta in un canale, legata con la tecnica Shibari e con la testa rasata. Il duplice omicidio assume subito contorni inquietanti. Mentre Cyrus ed Evie cercano di scoprire la verità, passato e presente si scontrano con conseguenze devastanti.

ESTRATTO

1.

Cyrus

Se potessi raccontarvi una sola cosa di mio fratello, sarebbe questa: due giorni dopo il suo diciannovesimo compleanno ha ucciso i nostri genitori e le nostre sorelle gemelle, perché sentiva delle voci nella testa. Come evento determinante non c’è nulla di equiparabile per Elias, né per me.

Ho cercato spesso di immaginare cosa gli passasse per la mente in quella fresca serata d’autunno, mentre i vicini cominciavano a chiudere le tende per la notte e i lampioni proiettavano pallidi aloni gialli. Cosa dicevano le voci? Quali parole avranno mai potuto indurlo a compiere un gesto simile?

Mi sono torturato con i “se” e con i “forse”. E se non mi fossi fermato a comprare le patatine fritte tornando a casa dall’allenamento di calcio? E se non avessi appoggiato la bici davanti alla casa di Ailsa Piper, sperando di intravederla in giardino o di ritorno dall’allenamento di netball? E se avessi pedalato più veloce e fossi arrivato a casa prima? Sarei riuscito a fermarlo, o sarei morto anch’io?

Sono il bambino sopravvissuto, quello che si nascose nel capanno del giardino, rannicchiato tra gli attrezzi, avvolto dall’odore di cherosene, vernice ed erba tagliata, mentre le sirene echeggiavano per le strade di Nottingham.

Nei miei incubi mi sveglio sempre nel momento in cui metto piede in cucina, con i calzettoni da calcio sporchi di fango. Mia madre è riversa a terra tra i piselli surgelati che si erano sparsi sulle piastrelle bianche. Il brodo di pollo sta bollendo sul fornello e la sua celebre paella ha cominciato ad attaccarsi al fondo del tegame.

Mia madre mi manca più di tutti. Mi sento in colpa a fare preferenze, ma non c’è più nessuno a criticare le mie scelte, tranne Elias, e lui non può scegliere. Mai.

Papà morì nel soggiorno, piegato sul lettore dvd perché una delle gemelle era riuscita a far bloccare un disco nell’apparecchio. Alzò una mano per proteggersi e perse due dita e il pollice, prima che il coltello gli recidesse la spina dorsale.

Di sopra, in cameretta, Esme e April facevano i compiti o giocavano. April, più grande di venti minuti e quindi più prepotente, di solito era la prima a fare tutto, ma fu lei, vestita con una tutina da unicorno, a correre verso il coltello cercando di proteggere la sorella. Esme fu trascinata fuori a forza da sotto il letto e morì con un tappeto avvoltolato sotto il corpo e un ukulele in mano.

Molti di questi dettagli hanno il potere di chiudermi la gola o di farmi svegliare urlando, ma stanno sbiadendo come istantanee. I miei ricordi non sono più tanto nitidi. I colori. Gli odori. I rumori. La paura.

Per esempio, non mi ricordo più di che colore era il vestito di mia madre, o quale delle gemelle quella settimana portava le trecce. (Esme e April facevano a turno, per aiutare gli insegnanti a distinguerle o forse per confonderli ulteriormente).

E non mi ricordo se papà avesse aperto una bottiglia di bir­ra fatta in casa: un rito delle sei di pomeriggio, in casa nostra, quando stappava l’ultima produzione con un apribottiglie d’ottone di Winston Churchill. Poi versava quel “nettare ambrato” in un boccale, con grande solennità, e lo teneva alla luce per studiarne il colore e l’opacità. E quando beveva, faceva scivolare il primo sorso da una parte all’altra della bocca, inspirava aria come un intenditore di vini, ed esprimeva il suo giudizio: «Maltata… leggermente torbida… un filino acerba… discreta… cremosa… dissetante… un’altra settimana e sarà perfetta».

Sono questi piccoli dettagli a sfuggirmi. Non mi ricordo se avevo tolto il fango dagli scarpini, se avevo legato la bici o se avevo chiuso il cancello di lato. Ma mi ricordo di essermi fermato a lavare il sale dalle mani e bere un sorso d’acqua, perché mamma non sopportava che mi guastassi l’appetito mangiando cibo spazzatura poco prima dell’ora di cena. E si lamentava del fatto che fossi “senza fondo” e “le svuotassi la dispensa”.

Mi manca la sua cucina. Mi mancano i suoi abbracci imbarazzanti in pubblico. Mi mancano i suoi sputi sui fazzoletti per pulirmi la faccia dai resti di cibo. Mi mancano i suoi tentativi di lisciare il mio ciuffo ribelle. Mi mancano i suoi continui rimproveri per aver raccontato storie di fantasmi alle gemelle, o per aver lasciato la tavoletta del water alzata o il dentifricio senza tappo.

Dopo gli omicidi nessuno mi ha più redarguito. I miei nonni non ne avevano il cuore. Erano afflitti anche loro. Diventai il ragazzo che veniva compatito, additato e chiacchierato. Aiu­tato. Bullizzato. Coccolato. Assistito. Il ragazzo che si drogava, si tagliava e si presentava a scuola ubriaco. Un bambino difficile da amare. Tutt’altro che un bambino, dopo ciò che avevo visto.

 

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