E’ tornato … Bisognerebbe gridarlo a gran voce perché lui è il miglior scrittore di legal-thriller in Italia. E’ tornato Michele Navarra (er PX) ed è tornato con un romanzo molto intenso, “Il peso del coraggio”. Lo stiamo leggendo ma non posso dirvi niente perché la tappa della recensione non è nostra e rispetto lo spazio dei miei colleghi. Ma posso solo dirvi che Navarra stavolta è cresciuto veramente, cresciuto la trama, cresciuta la suspense e cresciuti anche i dialoghi … Ma adesso vi lasciamo alla trama e ad un piccolo estratto che vi fanno capire cosa possiamo trovare nel suo nuovo romanzo.
TRAMA
Alessandro Gordiani sta attraversando un momento complicato. Le cose in famiglia non vanno bene, la moglie è sempre distante e la figlia più grande, iscritta alla facoltà di Giurisprudenza, è spesso in polemica con lui. Come avvocato di parte civile, è da poco alle prese con un processo delicato: assiste la famiglia di un bambino che sostiene di essere stato abusato dal suo allenatore di calcio, un medico e stimato professionista, nonché padre di un suo compagno di classe. Nel corso del processo, il ragazzo, sentito come persona offesa, incorre in una serie di contraddizioni e confonde particolari importanti, al punto che, nonostante gli sforzi di Gordiani, l’accusato, e quasi sicuramente colpevole, viene assolto per insufficienza di prove. In seguito alla sentenza di assoluzione, che in qualche modo lo qualifica come “bugiardo”, il piccolo cade in una crisi profonda. Qualche tempo dopo, l’uomo accusato di averlo abusato viene trovato cadavere all’interno del suo appartamento e i sospetti portano dritti al padre del ragazzo. C’è comunque qualcosa che non torna e Gordiani, con l’aiuto della collega Patrizia, cerca di capire come siano andate realmente le cose lavorando con la sua squadra in vista di un processo che si preannuncia particolarmente difficile e complesso.
Vi lascio i link alle precedenti recensioni: Solo Dio è innocente – Nella tana del serpente (video) – Una giornata cominciata male
ESTRATTO
1
Taxi Driver
Cammino come un marziano, come un malato, come un mascalzone per le strade di Roma, vedo passare persone e cani e pretoriani con la sirena e mi va l’anima in pena… Mi viene voglia di menare le mani, mi viene voglia di cambiarmi il cognome, cammino da sempre sopra i pezzi di vetro e non ho mai capito come…
Non sono parole mie, ma di una canzone di De Gregori. Stamattina l’ho sentita alla radio, mentre mi facevo la barba, e come spesso mi capita mi è entrata in testa e adesso si rifiuta di uscirne.
Del resto, è esattamente così che mi sento: un marziano, un malato, un mascalzone.
Un impostore, ecco. Uno sempre costretto a fingere, uno che si sforza di apparire sicuro quando in realtà le sue certezze sono pari o vicine allo zero assoluto.
Da me le persone vogliono la soluzione ai loro problemi, si affidano a me perché io le tiri fuori dai guai. In altre parole, mi chiedono di essere salvate.
Salvate da cosa? Dalla preoccupazione, dalla vergogna, dalla paura di un’ingiustizia o, peggio, dalla paura che giustizia sia fatta.
E io mi sento investito di una responsabilità enorme, che il più delle volte rischia di soffocarmi, di stritolarmi in una morsa inesorabile.
Come se fosse facile prendere certe decisioni, scegliere una strada piuttosto che un’altra, convincere qualcuno di qualcosa, senza che nemmeno tu ne sia convinto al cento per cento.
Quindi passo la maggior parte delle mie giornate a pensare, ad arrovellarmi, a riflettere su cosa sarebbe meglio fare o non fare in quella determinata situazione.
Rifletto anche di notte, mentre cerco di addormentarmi, e nei miei frequenti risvegli devo impedirmi di pensare e cercare invece di riaddormentarmi subito, altrimenti sono guai, altrimenti ricomincio a pensare, a faticare.
Dormo male, anzi malissimo. Diciamo pure che non dormo proprio. Così rischio di ammalarmi. E ovviamente anche il mio umore ne risente…