L’ospite di questo mese della nostra rubrica non poteva essere più indovinato. Uno scrittore sensibile e attento, un osservatore della realtà di ogni giorno per necessità e lavoro che ha saputo trasferire la sua esperienza sul campo in pagine di grande impatto emotivo in tutti i suoi romanzi. Nelle settimane più dure e ombrose di un periodo di emergenza Francesco Paolo Oreste, impegnato sul campo in prima persona, ha cercato di ritagliarsi comunque un piccolo momento per rispondere ai lettori. Un bel gesto di cui lo ringraziamo moltissimo e che sottolinea le sue grandi doti umane ancora prima di quelle di autore. 

ALESSIA BARBUIO: Buongiorno a tutti…nella realtà c’è bruttura, oscurità, cattiveria e nel suo lavoro ne vede tantissima come riesce a non riportarla tutta sui libri? Nel senso nei libri c’è oscurità e cattiveria ma mai come nella realtà, come riesce a rendere accettabile quello che vede tutti i giorni?

Non lo accetto. Lo mastico. Lo mischio con tutto il resto. Lo rendo digeribile. È un mio bisogno. Perché quella di cui parlo è quasi sempre una realtà che vivo o che ho vissuto: provare a rimettere insieme la bellezza scomposta del sorriso solitario e impertinente di uno scugnizzo – pure se un attimo dopo diventa un rapinatore o uno spacciatore – è la mia arringa alla passione, il modo in cui provo a costringerla a fare il suo dovere quotidiano.

TIZIANA LEONE: Scrivere è come un’indagine (passami il termine) di polizia: tanti piccoli pezzi che devono essere messi al loro posto. Come organizzi il tuo lavoro di scrittura e quanto influisce su di esso la tua mentalità e preparazione?

Nel lavoro sono metodico, devo essere razionale, stare attento ad articoli e cavilli. E rispettare il regolamento. Quando scrivo invece sono libero: posso mischiare la prosa e la poesia, trasformare un’utopia in un fatto o permettermi di seguire esclusivamente il sentimento della giustizia, senza dover continuamente a stendere un filo tra ciò che dovrebbe essere e ciò che è. Senza fare l’equilibrista. Quando scrivo, per fortuna, non lavoro. 

SONIA SYSSA SACRATO: Ciao Francesco, come riesci a conciliare famiglia, lavoro, impegni e scrittura, e ad avere ancora una vita?  Mi spiego meglio: sei di quelli che si alza alle 5 del mattino per scrivere, o preferisci la notte/il week end? Insomma, facci fare un giro nel tuo backstage di autore.

Mi sveglio presto, perché sono affamato di tempo, esco di casa, il caffè, il lavoro, la città e tutto quello che è. E ascolto, sento, appunto, e torno indietro, ascolto meglio, sento meglio, appunto meglio. Se serve mi fermo. E poi aspetto. In genere arriva di notte. E quando succede, anche se è buio, è tutto chiaro. E scrivo. Poi, appena riesco a fermarmi di nuovo, mi rileggo. E qualcosa non finisce nel cestino. 

TITTI D’AMELIO: Nel tuo libro le dicotomie tra bene e male, luce e ombra, pazienza e orgoglio, sembra che si rincorrono in una voglia di unità che dovrebbe conciliare tutto. Il protagonista ci lascia così, confuso. Fai un lavoro particolare. La scelta tra bene e male, giusto e sbagliato, si fa tutti i giorni o lo si giura a sé stessi una sola volta nella vita? L’ispettore è tormentato, troverà mai pace? A quando il prossimo libro?

Si sceglie ogni giorno. Lasciando qualcosa per strada. Si prova e si impara a scegliere ogni giorno. Si impara e si prosegue. E forse il tormento è proprio questo: il peso o la voce di quello che ci lasciamo dietro, gli irrisolti, gli errori che non avresti voluto, quello che forse avresti potuto, i sogni che hai abbandonato, le idee che hai tradito, quelle a cui non riesci ad essere fedele, quelle che ti confondono. E quelle che ti chiamano dal futuro, per andare avanti e avanti ancora. Come è normale e giusto che sia.  La pace? Un momento. Un punto di equilibrio. Un attimo in cui si tira la testa fuori dall’acqua per prendere ossigeno prima di immergersi di nuovo. Quindi si, l’ispettore la troverà, ma la lascerà andare, per continuare a cercare. Il nuovo libro sta crescendo, ma al momento è un’idea che corre su poche pagine (e non sarà un altro Giulietti).

CRISTINA MAZZUCCATO: Ciao Francesco, innanzitutto grazie per prestarti a questa intervista. Ti chiedo: quanto influisce il tuo lavoro in Polizia sulle storie dei tuoi protagonisti? Metti su carta le tue esperienze di vita lavorativa e cerchi di fare sempre giustizia o cerchi, al contrario, di dar più voce al lato oscuro?

Ho cominciato a scrivere per raccontare qualcosa in più rispetto a quello che poteva essere riportato in una comunicazione di notizia di reato. Volevo raccontare gli occhi, le mani, gli odori, la puzza, le case senza balconi e tutto quello che – di solito – è nascosto dalla paura o dalla dignità di chi – nel lato oscuro – ci nasce e ci cresce, senza averla amai vista la luce, senza una vera possibilità di scelta. Volevo e voglio raccontare le mille ingiustizie che spesso precedono o determinano l’unica ingiustizia che viene sottoposta a processo. Perché la giustizia, per essere davvero giusta, dovrebbe poter vedere e sentire tutto. Diversamente, purtroppo, è solo un esercizio di potere.

Grazie a Francesco Paolo Oreste.