È tornato nelle librerie italiane il giallista milanese che racconta nei suoi romanzi il lato oscuro della metropoli lombarda. Fabrizio è seguitissimo dai sui lettori tanto che il suo primo romanzo Gli angeli di Lucifero è stato il più scaricato nell’iniziativa “Milano che legge”. Tutti i suoi romanzi sono pubblicati da Mursia e tutti si muovono tra le leggende, la realtà e la cronaca di ogni giorno. In occasione dell’uscita de Il codice di Giuda questa è la sua intervista a La Bottega del Giallo.

Fabrizio nel suo ultimo romanzo viene ripreso uno dei tanti vangeli apocrifi dove la figura di Giuda Iscariota viene del tutto rivalutata da quella storica che tutti conosciamo. Le sembrava un buon punto di partenza per un giallo che alla fine di storico non ha praticamente nulla?

È proprio così, il Codice di Giuda è un giallo metropolitano di taglio esoterico/religioso ma non storico. È un giallo nato per caso, volevo romanzare l’incredibile vicenda dell’omicidio di Lidia Macchi, avvenuto nel 1987 ma risolto solo nel 2017, un delitto dove era prevalente la componente religiosa, e i contenuti del Vangelo apocrifo di Giuda mi hanno permesso di ideare e snodare una storia di omicidi legati dal filo conduttore del peccato, dell’obbedienza e dell’ossessione di punire chi sbaglia. Nel mio noir l’assassino è ossessionato dal ruolo di Giuda, che nel Vangelo apocrifo a lui intestato viene raccontato non come un traditore ma come un martire dell’obbedienza, il discepolo più devoto a Gesù, tanto che Gesù gli ordina di tradirlo e di venderlo ai romani perché si possa compiere il suo martirio sulla croce, chiedendo nel contempo a Giuda di accettare anche il carico di colpe che ne seguiranno: Giuda obbedisce e diventa il traditore, con una dannazione terna del suo nome. Immaginate quale follia omicida possa scatenare un simile ribaltamento della figura canonica di Giuda…

Parliamo della sua Milano. Dal quadrilatero della moda alla difficile zona di via Padova. Quanto le piace questa doppia faccia della stessa città?

Tanto. E infatti in quasi tutti i miei libri gioco tra le luci della Milano del centro e le ombre dell’altra Milano, quella esterna all’anello delle circonvallazioni. Due città che spesso viaggiano a velocità diverse, anche se va detto che a Milano le periferie stanno diventando sempre più belle e migliorano come qualità della vita, colmando il ritardo dal centro. Il centro storico mi serve per raccontare l’arte e il mistero di Milano, le periferie per raccontare la vita di tutti i giorni. In questo caso racconto la zona che va da piazzale Loreto al parco della Gorla, zona popolare, anche problematica, ma affascinante e da scoprire. Spero di aver ben accompagnato i miei lettori in un interessante passeggiata in questa zona di Milano meno conosciuta.

In Il codice di Giuda ci sono due personaggi fortissimi. Il primo percorre l’intero romanzo dalla prima all’ultima pagina ed è il poliziotto duro e picchiatore, l’altro è l’angelo vendicatore che ricorda gialli francesi dell’ultimo decennio e la cui presenza è altrettanto ingombrante pagina dopo pagina. Secondo lei chi è il vero protagonista e chi l’antagonista?

Il Codice di Giuda è l’ottava indagine del vicequestore Bruno Ardigò, personaggio sicuramente duro e spesso ‘non politicamente corretto’ nel senso ampio del termine. Ma non è un picchiatore no, fa troppo Genova scuola Diaz: in questo romanzo Ardigò utilizza la violenza fisica fuori dal suo ruolo di poliziotto e solo per ‘punire’ un violento con le donne, in una vicenda tra maschi, che è collaterale alla trama e anche al suo personaggio. Comunque il vero protagonista è lui, come nei miei precedenti romanzi: è un personaggio generazionale, che invecchia di romanzo in romanzo, nella sua prima indagine, Gli Angeli di Lucifero, ha 35 anni, in questa ne ha 44. E per scoprire chi sia l’assassino che uccide nell’ossessione di Giuda utilizza un consulente particolare: un uxoricida che lui stesso ha arrestato e che lo riceve nel parlatorio del carcere di San Vittore. Sull’angelo vendicatore non rispondo per non spoilerare!!!

Lei nei suoi lavori letterari ha affrontato anche il delicato tema delle sette esoteriche milanesi. Quanto c’è di vero o di realistico in tutto questo considerando che il capoluogo lombardo a differenza di quello piemontese non ha mai avuto una tradizione riconosciuta in questo senso?

C’è molto di vero. Nel Nord Italia c’è una sorta di triangolo del satanismo che ha i suoi tre vertici in Torino, Bologna e nel nord est, diciamo Padova. Milano è nel centro di quest’area: il satanismo fa proseliti dove c’è benessere e dove è presente una forte comunità cattolica. La Lombardia è una terra storicamente ‘bianca’, dove la DC governava quasi ogni comune: normale che nelle nostre città il seme del satanismo attecchisca, anche se poi i rituali si svolgono nelle campagne isolate, lontano da occhi indiscreti. Nel mio penultimo romanzo, In Nome del Male, i satanisti sono milanesi ma agiscono nelle valli bergamasche, tra chiese sconsacrate e cimiteri abbandonati.

Se dovesse racchiudere il suo ultimo romanzo in una sola frase del libro quale sceglierebbe e perché.

Banalmente la quarta di copertina, una frase con cui lo psichiatra uxoricida descrive cosa sia il male nella concezione evangelica: Caino e Giuda sono due facce della stessa moneta maledetta, la moneta del male. Caino e Giuda sono l’emblema del male assoluto, dell’uomo che commette il peggiore dei peccati: togliere la vita a un altro uomo e toglierla a sé stesso.

Grazie a Fabrizio Carcano per questa interessante intervista, e se volete leggere la nostra recensione ecco il link: QUI.